il manifesto 28.0.17
Grasso, una sorta di debutto
Legge
elettorale. Il presidente del senato durissimo per spiegare il suo
addio al Pd: "Il Rosatellum non lo abbiamo potuto neanche discutere, è
stata una sorta di violenza che ho voluto esternare". Parole che assieme
a quelle di Napolitano contro la fiducia adesso pesano sul Quirinale,
dove Mattarella sta per promulgare la legge
di Andrea Fabozzi
ROMA
Più duro non poteva essere. «Ho vissuto una sorta di violenza e l’ho
voluta rappresentare», spiega la scelta di lasciare il Pd Pietro Grasso,
mentre a pochi passi da lui – a palazzo Giustiniani – c’e Gentiloni che
la fiducia l’ha messa. I due non si incontrano, il presidente del
Consiglio aveva in agenda un appuntamento con il senatore Piano, Grasso
invece parla a margine di un convegno sulla corruzione. «Scelta sofferta
– dice – ma non condivido più né il merito né il metodo del partito in
cui ero entrato».
Ci era entrato poco meno di cinque anni fa, era
procuratore nazionale antimafia, in coincidenza con la decisione di
accettare la candidatura al senato offertagli da Bersani e, subito dopo,
la scelta di lasciare prima del tempo la magistratura. Lascia adesso,
«dopo l’approvazione della legge elettorale per rispetto al mio ruolo
istituzionale», ma proprio in relazione a quella approvazione. Gli è
costato veder fallire il suo tentativo di moral suasion per convincere
il governo a non chiedere la fiducia. In risposta l’esecutivo, su
richiesta del Pd, di fiducie al senato ne ha chieste e ottenute cinque. E
così malgrado la ministra per i rapporti con il parlamento Finocchiaro
dica che «il governo si è sempre comportato correttamente», Grasso pensa
il contrario. «Il fatto che il presidente del senato abbia visto
passare una legge elettorale redatta in un’altra camera senza poter
discutere, senza poter cambiare nemmeno una virgola, è stata una sorta
di violenza che ho voluto rappresentare». Anticipando la decisione al
capo dello stato, che probabilmente non l’ha presa bene visto che adesso
tocca a lui promulgare la legge elettorale approvata con otto fiducie
(tre alla camera). Mentre i grillini gli chiedono già di «non ripetere
l’errore fatto con l’Italicum», promulgato e poi dichiarato in parte
incostituzionale della Consulta.
Mattarella, sul cui tavolo
arriverà presto il Rosatellum, ha spiegato proprio giovedì che il
presidente della Repubblica può rifiutarsi di firmare una legge
approvata dal parlamento solo in presenza di evidenti ragioni di
incostituzionalità. E proprio ieri ha dimostrato cosa intende,
rimandando al parlamento la legge contro le mine antiuomo motivando nel
dettaglio i «profili di evidente illegittimità»; così come erano stati
puntigliosi i suoi rilievi sul codice antimafia, pur promulgato, un paio
di settimane fa. La questione della legittimità della fiducia sulle
leggi elettorali è invece più articolata – la Corte costituzionale non
si è mai espressa, ha ricordato nell’aula del senato l’ex presidente
Napolitano. Eppure non è indifferente che la nuova legge elettorale
arrivi alla firma presidenziale gravata dalle critiche di un capo dello
stato emerito – «drastica compressione dei diritti e del ruolo
dell’istituzione» – e della seconda carica dello stato – «una sorta di
violenza».
Intanto l’uscita di Grasso dal Pd è un colpo che si
diffonde in due direzioni. La più scontata è quella a sinistra del
partito, dove Grasso è già stato invocato – e direttamente sondato –
come possibile leader di Mdp e Sinistra italiana. Da quella parte si sta
però ben attenti a rispettare la prudenza che il presidente richiede.
Grandi attestati di stima, ma nessun arruolamento anzi tempo. «Ci
fermiano al rispetto, non lo trasciniamo in altro», dice Speranza, e
persino D’Alema non va oltre l’espressione del «piacere per la
consonanza di giudizio».
Ma il peso delle accuse di Grasso grava
soprattutto nel Pd. Renzi vede subito i rischi di un crollo a catena e
dà mandato di bloccare le intemperanze sui social di qualcuno tra i
suoi. Anche perché tra pochi giorni è atteso un cattivo o pessimo
risultato in Sicilia. Il segretario tenta ancora di sottrarsi alla
responsabilità della fiducia: «Io la penso come il presidente Gentiloni e
i capigruppo Zanda e Rosato». Ovvero, la fiducia sulla legge elettorale
l’hanno condivisa anche le anime del partito adesso in movimento (Zanda
è della corrente di Franceschini).
Non è quello che ha raccontato
in senato Napolitano, quando ha descritto il presidente del Consiglio
vittima di «fortissime pressioni». Un pezzo del partito, a cominciare
dai ministri Orlando e Franceschini che ne hanno parlato a margine della
riunione del governo, non ci sta a minimizzare l’addio del presidente
del senato. E ne approfitta per insistere sulla linea del partito
inclusivo e aperto alle alleanze. La stessa linea di Veltroni: «Il Pd è
stato ideato e costruito per persone come Grasso, speriamo di ritrovarci
uniti». Eventualmente anche con Renzi.