il manifesto 27.10.17
Grasso lascia il Pd: «Ormai una distanza umana e politica»
Dammi
il cinque. Il presidente del senato passa al gruppo misto, la sinistra
applaude e lo vuole come leader. Zanda: gli avevamo offerto un posto in
lista. Lui: non mi riconosco più nelle prospettive di questo Pd, ha
comportamenti che imbarazzano le istituzioni e ne minano la credibilità e
l’indipendenza
di Daniela Preziosi
Non l’aveva
detto a nessuno. Ma chi conosce bene Pietro Grasso era saltato sulla
sedia quando, durante il concitato dibattito sul Rosatellum, aveva
risposto con amarezza al 5 stelle Vito Crimi che lo accusava di non
essersi dimesso per evitare le fiducie imposte dal governo, come il suo
predecessore Paratore (nel 53, in realtà si dimise dopo il voto di
fiducia) : «Quali che siano le mie decisioni personali e le mie intime
motivazioni, posso dire che può essere più duro resistere e continuare,
piuttosto che abbandonare con una fuga vigliacca», aveva risposto, «Si
può esprimere il malessere ma non è detto che, quando si ha il senso
delle istituzioni, si debba obbedire ai propri sentimenti».
MA I
SENTIMENTI C’ERANO, e c’era la «decisione personale». Ieri pomeriggio, a
poche ore dall’approvazione della legge elettorale, Grasso lascia il
gruppo del Pd e passa al misto. Una scelta maturata nelle ultime ore, ma
che viene da lontano. Ai suoi ha confidato: «Non mi riconosco più nel
merito e nel metodo di questo Pd, ha comportamenti che imbarazzano le
istituzioni e ne minano la credibilità e l’indipendenza».
A
gennaio del 2016 era stato il primo a schierarsi contro la
trasformazione del referendum costituzionale in «un plebiscito». Poi, a
luglio il no ai «toni apocalittici» della campagna renziana. L’ultimo
strappo a settembre: una dura polemica con Matteo Orfini. Grasso, in un
dibattito, aveva esortato i partiti a produrre una legge elettorale «che
spazzi via gli effetti delle sentenze» della Consulta. Il presidente Pd
aveva replicato: «Usa toni antipolitici».
POI QUESTI GIORNI.
Grasso riceve il Comitato difesa della Costituzione che gli consegna le
firme contro il Rosatellum, lascia filtrare la sua contrarietà alla
fiducia. Il Pd fa pressioni sul governo per la fiducia con la scusa
della fretta sulla legge di stabilità. Un pretesto, il testo non c’è. La
distanza con il partito che lo ha eletto si fa incolmabile. «Non mi
riconosco nemmeno nelle sue prospettive future», spiega a chi lo
interroga,l’addio «è una scelta sofferta ma è l’unica che possa
certificare la distanza, umana e politica, da una deriva che non
condivido».
DALLA SINISTRA, che da mesi ha pronto per lui un ruolo
da leader, partono applausi: «Non gli tiro la giacchetta, ma le ragioni
sono comprensibili, è un giudizio politico sugli ultimi giorni», dice
Roberto Speranza, coordinatore di Mdp, il partito che lo aveva accolto
alla festa nazionale con applausi particolarmente caldi («Sono un
ragazzo di sinistra», lui aveva detto). Nicola Fratoianni, segretario di
Si, rincara: «Un fatto politico importante e positivo». La differenza
di temperatura con la presidente della Camera Laura Boldrini è chiara:
lei, più vicina a Pisapia, viene considerata ’rea’ di non aver resistito
alla fiducia sul Rosatellum.
DAI 5 STELLE ARRIVA una pioggia
acida di sarcasmo. La scelta è giudicata «tardiva» e «a danno fatto». Di
Battista: «Anche lui si è reso conto che il Pd ha portato avanti
manovre da squallidi golpisti bulletti».
MA IL CONTRACCOLPO più
forte si abbatte sul Pd. Michele Emiliano esprime «dolore», il ministro
Orlando «rammarico». Invece da Orfini parole glaciali: «È la seconda
carica della stato. Non ne faremo oggetto di scontro politico per
rispetto della funzione che svolge». E se a settembre non era andata
così era «perché in quell’occasione aveva messo in contrapposizione gli
interessi dei partiti e con quelli dei cittadini. Cosa che chi
interpreta le istituzioni figlie della Costituzione non può e non deve
fare». I renziani fanno spallucce: «Ci fa la guerra da anni, ora vuole
giocarsi la partita dentro Mdp, ma dopo Pisapia bruceranno anche lui».
Il
capogruppo del Senato Luigi Zanda invece capisce il peso del gesto,
tanto più alla vigilia del voto in Sicilia, dove il Pd gli aveva offerto
la corsa da presidente. Offerta rifiutata «per senso delle
istituzioni». E con lungimiranza. Zanda non dimentica la «lunga
collaborazione» precedente con Grasso. E rivela: «La settimana scorsa
gli avevo chiesto a nome del partito di candidarsi in un collegio da lui
scelto alle politiche», «Mi ha detto che doveva pensarci, ma non ho mai
avuto l’impressione di una sua distanza dal Pd».
MA IL FUTURO
POLITICO di Grasso è la tribuna d’onore nelle liste della sinistra.
Anche se lui per ora non vuole parlarne: «Vedremo, non è oggi la
giornata giusta per pensarci».