Il Fatto 27.10.17
E Grasso lascia il Pd: “Mette in imbarazzo e mina le istituzioni”
Il presidente del Senato abbandona il gruppo dem e fa sapere: “La legge elettorale non l’avrei votata, nemmeno con la fiducia”
E Grasso lascia il Pd: “Mette in imbarazzo e mina le istituzioni”
di Carlo Tecce
“Io
non mi riconosco più nel Pd”. Nel partito che accoglie in maggioranza
il plurinquisito Denis Verdini e disegna alleanze coi centristi Giuseppe
Castiglione e Angelino Alfano, Pietro Grasso non ci vuole stare. È il
pomeriggio di ieri quando il presidente del Senato, appena finita la sua
gestione dell’iter del Rosatellum, comunica l’uscita dal gruppo dei
democratici e il suo passaggio al Misto. Restano orfani della seconda
carica dello Stato, insomma, i senatori guidati da Luigi Zanda, pidino
di rito democristiano che, in questi ultimi giorni, ha evitato
accuratamente di citare nei suoi discorsi l’ex magistrato Grasso. A
conferma che la separazione era in gestazione ormai da tempo: “La misura
è colma, politicamente e umanamente. Non mi riconosco più nel merito e
nel metodo di questo Pd, in comportamenti che imbarazzano le istituzioni
e ne minano la credibilità e l’indipendenza. Non mi riconosco nemmeno
nelle sue prospettive future”. Ci ha riflettuto una notte, dopo la
baraonda in aula. Al 5Stelle Vito Crimi, che invocava le sue dimissioni,
aveva replicato rassegnato: “A volte è più difficile restare che
andare”. Poi ha capito che col Rosatellum si è valicato un limite di
decenza politica e fingere ancora sarebbe stato ipocrita: “È una scelta
sofferta, ma è l’unica che certifichi la distanza, umana e politica, da
una deriva che non condivido”.
Quando Grasso, ricevendo le firme
contro il Rosatellum dai professori che guidarono il Comitato del No al
referendum, auspicò la riapertura della discussione sulla legge senza la
forzatura del voto di fiducia e senza umiliare Palazzo Madama, dal
Nazareno hanno reagito con gli insulti. Secondo il presidente del
Senato, peraltro, il nuovo sistema elettorale allontana ancora di più
gli eletti dagli elettori, riproponendo lo strumento dei nominati che fa
tanto comodo ai segretari di partito. Si poteva almeno, ad esempio,
dare l’opportunità ai cittadini di esprimere due voti disgiunti per
lasciare libertà di scelta sul candidato del collegio e sulle liste in
corsa. Il solo auspicio ha irritato Zanda&C. E le ragioni sono
antiche. Il rapporto tra il Pd di Matteo Renzi – per l’ex magistrato ben
diverso da quello che in epoca Pier Luigi Bersani lo trascinò in
politica – e il numero 1 di Palazzo Madama si è frantumato durante la
lunga fase che va dalla riforma costituzionale al referendum di
dicembre. Ogni obiezione di Grasso – come quella sulla ricerca del
“plebiscito” – è stata trattata come un oltraggio e dunque meritevole di
una reazione velenosa.
Non proprio accorata, a dire la distanza
tra i due mondi, la reazione di Zanda: “Mi ha comunicato per telefono la
decisione di dimettersi dal gruppo poco prima di renderla nota. Per
quanto mi ha detto si è dimesso principalmente perché non condivide la
linea politica del partito e, in particolare, le decisioni sulla legge
elettorale. Mi ha detto che, non fosse stato presidente del Senato e
avesse dovuto votare, non avrebbe votato né la legge, né la fiducia
sugli articoli”. La signorilità e il senso delle istituzioni dei vertici
dem sono stati poi esemplificati da un tweet di Salvatore Margiotta,
della Direzione Pd: “Fosse vero, Grasso dovrebbe dimettersi anche da
presidente del Senato”. Per una volta sono i renziani i più tranquilli:
il vicesegretario Maurizio Martina è “addolorato”; Matteo Orfini
addirittura rispetta la scelta (“ovviamente non trascineremo la seconda
carica dello Stato nello scontro politico”).
L’ex magistrato nelle
prossime settimane dovrà far sapere se continuerà a fare politica, in
che modo, dove, se da candidato in prima fila o da riserva della
Repubblica. Per adesso, Grasso scarta un’ipotesi: presentarsi di nuovo
agli elettori col Pd, il partito di Renzi che già mostra le intenzioni
di una campagna populista. “Quando mi sono candidato nel Pd – dice –
riconoscevo principi, valori e metodi condivisi, che si sono andati
disperdendo nel corso degli anni”.
Anche il blocco rosso del
Nazareno si è disperso. Pier Luigi Bersani ha fondato Articolo1-Mdp.
Alla festa di Napoli degli “scissionisti”, Grasso aveva ricevuto
ovazioni e aveva ricambiato: “Mi sento un ragazzo di sinistra”. A un
mese dal quel giorno, il presidente del Senato deve capire la sinistra
che Mdp può e vuole rappresentare: “Per il futuro vedremo, non è oggi la
giornata giusta per pensarci”. Ovviamente, dal lato bersaniano, le
pressioni per farne il frontman (con connesso saluto a Giuliano Pisapia)
della prossima corsa elettorale aumenteranno. Forse un primo segno
Grasso potrebbe scorgerlo nella giornata del 6 novembre, quando pian
piano le schede cominceranno a uscire dalle urne siciliane: il panorama
potrebbe cambiare parecchio, per ora si aspetta e ci si gode la fine
degli equivoci.