il manifesto 26.10.17
Xi Jinping leader di un partito tornato forte
Xi
Factor. L'assenza di un successore chiaro e limpido all'interno del
comitato permanente, dato che tutti i membri attuali sono troppo in là
con gli anni per poter ambire a prendere le redini di Xi nel 2022, rende
l'attuale numero uno ancora forte al comando
di Simone Pieranni
Xi
Jinping nella storia e un comitato permanente, i sette uomini più
potenti della Cina, senza un successore immediato del numero uno. Il
bilancio fattuale del diciannovesimo congresso del partito comunista
cinese anziché chiuderle, apre a nuove speculazioni e riflessioni sul
futuro del paese. Il leader Xi Jinping è arrivato a questo congresso
forte della sua popolarità interna e internazionale e intenzionato a
rimarcare la sua posizione.
Lo ha fatto però sottolineando
l’importanza suprema del partito su tutto; partito che tra l’altro lo
stesso Xi ha tirato fuori da una pericolosa situazione creatasi negli
ultimi anni: un Pcc che alla popolazione cinese risultava distante e
alieno a causa dei tanti scandali, dell’impunità di cui sembravano
vantarsi molti funzionari, degli abusi di potere compiuti, dell’ottusità
dimostrata nella gestione di alcune situazioni di natura sociale.
Non
si può certo parlare di crisi di rappresentanza come siamo abituati in
occidente in un paese che è governato da un partito unico, ma i sintomi
di una crisi di legittimità e della perdita di fiducia popolare nei
confronti di un partito che appariva sempre più sganciato dalla vita
reale, cominciavano a essere troppo rischiosi per il «mantenimento della
stabilità» e per garantire la realizzazione del «sogno cinese».
Xi
Jinping con la campagna anti corruzione e una propaganda al passo con i
tempi, unitamente alla spinta sulla «moderata prosperità» e la
necessità di eliminare le sacche di povertà del paese, ha riportato il
partito al centro della scena politica economica e sociale della Cina,
rinvigorendolo, dandogli nuova linfa e dimostrando di poter essere
ancora l’asse attorno al quale agganciare la «rinascita della nazione
cinese».
Con questo risultato non da poco Xi Jinping ha deciso
di giocarsi le proprie carte, dimostrando di saper utilizzare il
proprio potere senza abusarne, aumentandone anzi il peso «storico».
Ottenuto
il riconoscimento epocale del proprio pensiero inserito nello statuto
del partito comunista, come capitato solo a Mao Zedong e Deng Xiaoping,
ha prima mediato sulla posizione di Wang Qishan il capo
dell’anticorruzione, consentendone il suo ritiro dai livelli apicali.
Infine
ha consentito la nascita di un comitato permanente che tiene conto
delle diversità di vedute all’interno del partito, molto meno monolitico
di quanto spesso venga rappresentato.
Non per questo ha mancato
di fare valere il suo peso politico: l’assenza di un successore chiaro e
limpido all’interno del comitato permanente, dato che tutti i membri
attuali sono troppo in là con gli anni per poter ambire a prendere le
redini di Xi nel 2022, rende l’attuale numero uno ancora forte al
comando.
Con un successore, come Hu Chunhua o Chen Min’er i
due favoriti, dentro al comitato permanente Xi rischiava di diventare
un’anatra zoppa.
In questo modo invece mantiene saldo il suo
controllo, pur mediato, e può spingere sulla sua idea di «socialismo con
caratteristiche cinesi per una nuova era» senza dover fare i conti con
un suo potenziale successore a sgomitare.
Xi ha già dimostrato di
saper forzare consuetudini e liturgie; in questo caso si è creata una
situazione nuova che se può garantire cinque anni di dominio,
potenzialmente non è avara di rischi data la storia del Pcc. Ora le
speculazioni sono già sul tavolo: l’ipotesi più accreditata è che Xi
possa abbandonare la presidenza della Repubblica cinese nel 2022
raggiunto il decimo anno, ma mantenere la carica di segretario del
Partito oltre i dieci anni, nominando nel comitato permanente la «sesta
generazione» solo nel 2022.
È un’ipotesi, ne arriveranno
sicuramente altre nei prossimi anni. Quello che conta è lo stato di
salute dell’attuale leadership e del partito. Il Pcc appare compatto
intorno al suo leader, l’ingresso nel comitato di Wang Huning
considerato un teorico, già consigliere dei precedenti numeri uno Jiang
Zemin e Hu Jintao, nonché di Xi, dimostra dopo l’epoca dei tecnocrati la
restituzione di importanza data all’ideologia e al controllo teorico
del Partito e della società cinese. Wang – già soprannominato il
Kissinger cinese dal Guardian – era noto per le sue pubblicazioni e i
suoi studi sul «neo-autoritarismo».
Per il resto anche
l’iscrizione nello statuto del Pcc della «nuova via della Seta» ci
racconta che Cina sarà quella dei prossimi anni: un paese proiettato
sulla scena internazionale, con una leadership salda e sicura di potersi
muovere con il supporto di tutto il partito. Lo stesso Xi, del resto,
nel suo discorso ha nominato la parola «partito» più di ogni altra.
Entrato nella storia il suo pensiero, ora Xi Jinping può concentrarsi
nel mantenere vivo il cuore politico del paese, di cui è capo
indiscusso, proiettandolo nel futuro della vita cinese e del mondo
globale.