il manifesto 25.10.17
Anna Frank, l’oblio dalla parte del vincente
di Enzo Collotti
La vicenda che in questi giorni chiama in causa Anna Frank ha più risvolti.
Da
una parte mira a banalizzare e a infrangere un simbolo, quello che al
di là di ogni lettura critica, è diventato l’emblema della Shoah;
dall’altra, impone una riflessione approfondita sulle radici di una
incultura che consente di sfidare impunemente la sacralità di una
memoria che sintetizza un mondo di valori che pensavamo fosse ormai
diventato patrimonio dell’intera società.
E invece non è così.
A
ottant’anni dalle leggi razziali del 1938 dobbiamo constatare non solo
che così non è, ma che nella guerra della memoria l’oblio tende a
collocarsi dalla parte vincente.
Brandire nello scontro tra
tifoserie l’immagine di Anna Frank non è soltanto un oltraggio che
immiserisce in molti significati che sono racchiusi in ciò di cui essa è
simbolo, è la rivelazione della distanza che separa fasce più o meno
larghe della popolazione dal senso del pudore che attutisce l’abisso
dell’ignoranza e stravolge il senso del sacrificio di cui Anna è stata
vittima.
Sul piano generale, l’episodio richiama l’inciviltà che
governa quella parte del mondo dello sport che al di là della
competizione si nutre di prepotenza e di razzismo. Non è da oggi che è
stato segnalato il razzismo nelle tifoserie per ragioni non sempre
comprensibili, ma sicuramente per la visibilità che si offre a platee
immense.
In questo senso la responsabilità delle società sportive è
enorme, ma enorme è anche la responsabilità del mondo politico che ha
sempre teso a minimizzare il sottofondo politico di certe
manifestazioni.
Non è un caso che sia nel mondo della destra,
estrema o meno, che si diffondano comportamenti e atteggiamenti che
sfociano nel razzismo, in un momento in cui le pulsioni razziste sono
alimentate da paure, reali o stimolate ad arte, che traggono forza dai
ben noti processi migratori che forniscono il pretesto per ogni sorta di
eccesso provocatorio o difensivo che dir si voglia.
Di fronte al caso di Anna Frank esprimere indignazione non basta.
L’analisi
deve andare oltre perché la tolleranza di fronte a tanti episodi di
violenza e sopraffazione ha abituato all’assuefazione, ad allargare la
soglia della sopportazione di fronte ad un fenomeno che si continua a
sottovalutare e a minimizzare.
Bisogna rendersi consapevoli che
siamo di fronte ad una forma di fascismo strisciante, di fascismo
quotidiano, nulla di clamoroso, nulla che faccia scalpore, ma qui con
Anna Frank ha passato il segno.
Questo paese ha riabilitato il riabilitabile: vogliamo riabilitare anche l’antisemitismo?