il manifesto 25.10.17
Il Rosatellum cancella il Senato
Legge
elettorale. Cinque fiducie stroncano persino la discussione generale
sulle nuove regole per il voto. I senatori non possono toccare il testo
della camera. Oggi le critiche di Napolitano, poi una lunga sequenza di
appelli nominali e domani l'ultimo atto. Diversi dissidenti nel Pd
terranno il gradimento del governo ai minimi, sotto la maggioranza
assoluta. malgrado l'appoggio pieno di Verdini
di Andrea Fabozzi
«Noi,
senatrici e senatori, ci troviamo a decidere ogni giorno, con il nostro
voto, se approvare o no un emendamento, se dire sì o no a una legge. In
questa funzione siamo garantiti dalla Costituzione, che ci assicura una
piena libertà di mandato. Questa grande libertà accresce di molto la
nostra responsabilità e non dobbiamo sprecarla nel gioco degli interessi
o nel commercio delle idee». Il capogruppo del Pd Zanda recitato queste
parole nell’aula del senato, ricordando solennemente Guido Rossi. Pochi
minuti dopo la ministra Finocchiaro a nome del governo e su richiesta
del Pd chiede la fiducia su cinque dei sei articoli della legge
elettorale (un articolo è immodificabile). Abbatte così di colpo tutti
gli emendamenti e la possibilità del senato di discutere e votare le
nuove regole con le quali tra pochi mesi si eleggerà il parlamento.
All’annuncio
della fiducia, la capogruppo di Sinistra italiana De Petris si fa largo
tra i commessi e corre a occupare la sedia del presidente Grasso, i 5
stelle si mettono una benda sugli occhi. Ma se la fiducia è un bavaglio,
lo è soprattutto sul dissenso interno al Pd. Molti senatori dem hanno
ormai capito che con il Rosatellum possono dimenticare la rielezione e
nel voto segreto avrebbero potuto pesare, uniti ai delusi berlusconiani.
Non sarebbero stati tanti i voti segreti, una decina, ma anche uno solo
avrebbe esposto la corazzata Pd-Forza Italia-Lega e centristi a qualche
rischio. E sarebbe stato difficile chiudere entro la settimana, prima
cioè del voto siciliano.
La richiesta delle cinque fiducie – un
record – abbatte prima della partenza la discussione generale sulla
legge Rosato. Niente dibattito, non in commissione (per la diserzione
della maggioranza) e nemmeno in aula. Mentre De Petris scala la
presidenza – anche perché Grasso non le concede la parola in replica
alla richiesta di fiducia – la conferenza dei capigruppo si apre con la
richiesta delle opposizioni di poter almeno svolgere il dibattito sulle
fiducie. Così ieri sera in un aula svuotata dai senatori Pd e forzisti,
si succedono gli interventi di Sinistra italiana, M5s e Mdp. E di un
solo Pd, Lumia, critico che però voterà sì. Oggi (a mezzogiorno)
interverrà l’ex presidente Napolitano con le annunciate critiche alla
fiducia e nel merito della legge. Scelta obbligata quella del senatore
di diritto, perché nell’unico spazio di intervento sulla legge – quello
prima della votazione finale che è prevista domani mattina – dovrà
intervenire il presidente del suo gruppo (le Autonomie) che invece è più
che favorevole alla legge, visto che cristallizza il trattamento di
favore per i sudtirolesi di Svp. Dalle 14 di oggi pomeriggio in poi una
sequenza di appelli per la fiducia, cinque, senza dibattito, segnerà il
mesto approdo del Rosatellum alla meta. Fuori, in piazza Navona, la
protesta grillina che poi si sposterà al Quirinale.
Al Quirinale
sono saliti ieri pomeriggio i capigruppo di Mdp per formalizzare al
presidente Mattarella la loro uscita dalla maggioranza. In altri tempi
la sostituzione di un gruppo, i bersaniani, con un altro, i verdiniani,
richiederebbe una verifica tra Colle e parlamento. Non a poche settimane
dallo scioglimento della legislatura. Non con la sessione di bilancio
aperta.
Il governo ha poco o nulla da temere sulle fiducie. Anche
se una decina di senatori del Pd hanno intenzione di disertare il voto,
per protesta contro il merito della legge (liste bloccate, divieto di
voto disgiunto) e il metodo della fiducia. Tra gli altri Chiti, Tocci,
Manconi, Mucchetti – cioè la parte rimasta nel Pd di quei senatori che
non votarono l’Italicum (l’altra parte ha seguito la scissione di
Bersani) – più gli eletti all’estero (Micheloni, Turano). E così i
numeri per Gentiloni rischiano di fermarsi abbondantemente sotto la
soglia della maggioranza assoluta (161) malgrado il sostegno dei 13
senatori verdiniani di Ala. Pochi voti, comunque sufficienti a evitare
la crisi perché Forza Italia e Lega non voteranno contro il governo e
probabilmente troveranno anche il modo di partecipare alle votazioni per
evitare di far saltare il numero legale (eventualità possibile nel caso
il resto delle opposizioni decidesse di uscire dall’aula). Per una
nuova prassi – consentita nelle ultime tre votazioni a palazzo Madama
sulla fiducia – è adesso possibile sfilare sotto la presidenza senza
votare, distinguendo così anche al senato l’astensione dal voto
contrario. Al Rosatellum serve anche questo.