domenica 1 ottobre 2017

il manifesto 1.10.17
Travagli nella parabola della Rivoluzione
Russia 1917. Una prospettiva, quella dello storico inglese Stephen A. Smith, che mentre descrive «Un impero in crisi 1890-1928» estende gli effetti dei «dieci giorni che sconvolsero il mondo» fino alle attuali tensioni nazionaliste
di Stefano Garzonio
Edizione del

Un centenario in sordina quello della rivoluzione d’ottobre del 1917: certo, sono moltissime le iniziative commemorative e le occasioni di studio preparate in Russia e nel mondo, ma nessun festeggiamento commensurabile a quelli che segnarono, ad esempio, i duecento anni della rivoluzione francese. Nella nostra editoria ad alcune pubblicazioni di indubbio interesse e novità, per esempio il volume in uscita da Jaca Book, La rivoluzione russa di Pier Paolo Poggio, Giovanni Codevilla e Stefano Caprio, va ad aggiungersi da Carocci un importante contributo dello storico inglese, Stephen A. Smith, La rivoluzione russa Un impero in crisi 1890-1928 (pp. 464,euro  34,00) nella introduzione al quale si chiarisce subito che scrivere di questi eventi è per forza di cose «un’impresa di carattere peculiarmente politico», ciò che fa scegliere all’autore di attenersi a una trattazione il più possibile obiettiva.
Questo stesso intento porta Smith ad ampliare la trattazione storica della rivoluzione russa, partendo dagli anni del regno di Alessandro III, e a dedicare ampio spazio anche ai fatti di inizio secolo, dalla guerra giapponese alla rivoluzione del 1905 fino alla Grande Guerra. Allo stesso tempo, la sua trattazione si estende a tutti gli anni venti, al periodo della Nep, e giunge alla Grande Svolta staliniana alla vigilia della collettivizzazione, della grande industrializzazione e degli anni del Terrore. Una particolare attenzione, dunque, viene prestata a temi e questioni che nella storiografia precedente al 1991 avevano suscitato minore interesse e, in concreto, al problema della dimensione imperiale e nazionale della rivoluzione, questione ancora molto viva ai giorni nostri, e che nei confronti della rivoluzione è stata a suo tempo acutamente trattata da Vittorio Strada nel suo volume Rivoluzione e impero (Marsilio).Tutti i dettagli della storia
Proprio la questione dell’impero spinge Smith ad affrontare le implicazioni etniche e nazionali della rivoluzione e della guerra civile. Dalla rassegna di quegli eventi si ottiene un quadro di riferimenti assai utile anche per indagare le questioni nazionali nel mondo post-sovietico dei nostri giorni, dall’annoso problema del nazionalismo grande russo, dell’antisemitismo, ma anche della russofobia, a quello dei nazionalismi degli altri popoli dell’impero (dal Baltico, al Caucaso, all’Ucraina, all’Asia Centrale) e oltre. Sono tutti aspetti dei conflitti interni alla rivoluzione che Smith giustamente confronta e contrappone agli intenti dichiarati del nascente potere proletario: affermare una prospettiva internazionalista e universale, che avrebbe dovuto realizzarsi nella vittoria del socialismo in tutto il pianeta.
Lo storico inglese ripercorre la storia dei rapporti e delle contrapposizioni tra i bolscevichi e gli altri movimenti politici di orientamento socialista, caratterizza i dissidi anche all’interno dello stesso partito comunista, traccia tendenze e conflitti che risultano significativi anche per comprendere la storia più recente di quelle nazioni e di quei popoli che vennero inglobati nelle varie repubbliche socialiste dell’Urss. Sempre con un occhio attento alla storia più recente, Smith affronta il tema delle persecuzioni contro la Chiesa e la politica antireligiosa sviluppata fin dal successo del colpo di stato dell’Ottobre.
Centrale, poi, l’analisi dei tratti sociali, culturali, politici del variegato mondo contadino russo e del suo rapporto con il nuovo potere dei Soviet. Allo stesso tempo, Smith sviluppa anche un fruttuoso confronto con la storia della cultura russa e sovietica, tra tradizione, innovazione, pragmatismo e aspettative catartiche, negli anni che precedettero la piena affermazione dello stalinismo. E affronta in modo assai vivace il tema della violenza rivoluzionaria, rifiutando molti degli stereotipi interpretativi fin qui accettati e mettendo a confronto il periodo dell’autocrazia con quello del nascente stato sovietico, quello della guerra civile e quello del terrore rosso della Ceka. Approda così a constatare la «ubiquità della violenza» nella rivoluzione: nel mettere ovviamente in evidenza la tendenza del potere sovietico a «plasmare il corpo sociale» con pratiche di schedatura, carcerazione, deportazione e così via, non minimizza il carattere violento e repressivo dell’ancien régime enumerandone i numerosi antecedenti e stabilendo interessanti analogie. Di grande rilievo è anche l’analisi offerta dallo storico inglese del rapporto tra azione rivoluzionaria, gestione del potere e ideologia, e, allo stesso tempo, del passaggio dalla rivoluzione di popolo a quella «dall’alto» attuata da Stalin fino al recupero di molti tratti dell’autocrazia.
Interpretazioni precedenti
In questa prospettiva, Smith tiene conto, pur tendendo a superarle, delle varie letture precedentemente offerte della rivoluzione russa, da quella di Martin Malia, che parla di «ideocrazia», attribuendo grande importanza all’ideologia anche nelle scelte pratiche e contingenti della gestione del potere, a quella di Richard Pipes che vede la persistente influenza dello zarismo nel definirsi del nuovo stato sovietico e della stessa concezione della dittatura del proletariato che si realizza poi nell’incontrastata autorità di Stalin.
Il quadro che se ne ottiene è pacatamente obiettivo: qualcuno lo leggerà come «distaccato e disilluso», ma Smith offre l’opportunità unica di poter ripercorrere le diverse fasi della storia russa con un occhio al loro significato più propriamente universale, all’opposizione tra socialismo e capitalismo anche in una prospettiva che conduce alla contemporaneità e alle nuove situazioni conflittuali del nostro tempo tra Russia e Occidente.
Certo è che lontano dai trionfalismi e dalle aspettative che parvero dischiudere i «dieci giorni che sconvolsero il mondo», accettata la fine «della spinta propulsiva dell’Ottobre» e lontano da qualsiasi posizione di parte, sottolinea l’importanza della rivoluzione nell’edificare uno stato che non solo seppe tener testa a lungo al capitalismo, ma soprattutto fornì un alto tributo di sangue come decisivo baluardo contro la vittoria del fascismo.
In questi tempi di dilagante russofobia e riabilitazione di movimenti nazionalistici a suo tempo alleati del nazismo quella di Smith è una presa di posizione decisa e niente affatto scontata.