Repubblica 1.10.17
Si prepara la tempesta ma l’Europa combatte per vincere
di Eugenio Scalfari
DELLA
Germania e dell’Europa si è già scritto molto sui giornali e su tutti i
mezzi di comunicazione del mondo intero. Ora aspettiamo, anche perché è
la stessa Angela Merkel ad aspettare. A noi urge che l’Europa faccia
qualche passo avanti, ma in quale direzione e quando? La Cancelliera ha
bisogno di aspettare almeno un anno: deve perfezionare la sua alleanza
con i liberali e i verdi, deve sondare il capitalismo tedesco che è una
delle forze portanti del Paese; deve capire gli umori del cosiddetto
popolo sovrano e conoscere il modo tutt’altro che facile di limitare
l’improvvisa crescita dal 4 al 13 per cento dell’estrema destra
para-nazista che in alcuni distretti, specie nell’Est tedesco, ha
incassato percentuali ben superiori al 13, fino ad arrivare al 30 per
cento.
Insomma, Merkel si trova in una situazione estremamente
complessa; il suo Paese sta vivendo una fase pre-rivoluzionaria nel
senso reazionario del termine. Del resto la storia della Germania
moderna è sempre stata assai diversa da quella delle altre grandi
Nazioni europee, come la Francia e l’Inghilterra. In quelle — tanto per
dirla in breve — c’era un Re e i mutamenti sociali e politici avvennero
gradualmente anche se crebbero società diverse rispetto ai punti di
partenza (parliamo del periodo tra il Cinquecento ed oggi).
In
Germania non fu così, almeno fino al Bismarck di fine Ottocento. Solo a
quel punto il governo fu unitario. Prima era un territorio frammentato.
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C’ERANO
i Grandi elettori, i Principi o anche i Re della Sassonia, della
Prussia, della Baviera, della Renania, delle città baltiche o
amburghesi. Spesso nominavano l’imperatore dell’istituzione carolingia,
ma contava ben poco. Insomma tardò molto a diventare una nazione e
quando alla fine lo diventò, allora fu una potenza quasi egemone
dell’Europa. Talmente egemone da suscitare l’avversione delle altri
grande potenze europee, a cominciare dalla Francia pre e post
rivoluzionaria.
È dunque su questo tema, storicamente occidentale,
che gioca Merkel. La Cdu nasce come un partito di centro-destra,
strutturalmente alleato con il Csu che è nettamente una destra, sia pur
democratica.
Naturalmente ci sono anche i socialisti del
centro-sinistra e i semi-comunisti della Linke ma non hanno mai avuto la
maggioranza salvo brevi e rari casi, l’ultimo dei quali fu quello di
Schröder che governò dal 1998 al 2005. Un esempio certo singolare e di
una rara cultura politica fu Helmut Schmidt. Ma è acqua passata. Un
altro personaggio di grande statura europea fu Adenauer, contemporaneo
del nostro De Gasperi. Era uno dei pochi tedeschi europeisti, ma quello
ormai è un tempo lontano.
***
L’Europa d’oggi ha una
quantità di problemi che ovviamente sono anche problemi italiani. Ne
abbiamo parlato infinite volte e quindi non è il caso di ripeterci. Ma
tra essi emerge un tema di fondo che possiamo definire con una parola:
società. Che cos’è e come si concepisce la società? Parliamo
naturalmente del mondo occidentale che ha una sua storia impossibile da
confrontare con l’Oriente.
La società è un “insieme”. Deriva da un
istinto di fondo della nostra specie, quello della sopravvivenza. È il
fondamento degli altri istinti. Comincia dal neonato che lo avverte
inconsapevolmente e continuamente: se ha fame piange, se ha un dolore di
nuovo piange, se è sazio ride e s’addormenta.
Ovviamente, quando
l’età aumenta, quell’istinto emerge con sempre maggior chiarezza e si
biforca: la tua sopravvivenza individuale e quella della specie. La
prima è naturalmente la più avvertita perché noi siamo tutti individui;
la seconda emerge di fronte ad eventi che impressionano tutti: una
strage di persone compiuta da una guerra o da cause naturali. Gli
individui sentono dolore dentro di loro e reagiscono aiutandone le
vittime e castigandone i responsabili con apposite leggi e
solidarizzando con i colpiti. L’istinto di sopravvivenza è perciò assai
complesso per i suoi effetti sociali. Ma la società non è dominata
soltanto da quell’istinto: c’è la rete degli interessi non solo
individuali ma della famiglia, della comunità di cui si fa parte, della
città dove si vive, della Nazione di cui si fa parte, della religione
che si pratica. Siamo tutti elementi fondamentali che configurano la
società mondiale sempre più complessa. Questa complessità sfocia spesso
in un’ideologia e nella politica che si propone di realizzarla.
Oggi
però viviamo tempi bui. Molti reagiscono a queste situazioni
affrontando la politica. L’affluenza alle elezioni sta crollando in
quasi tutto l’Occidente. Si è visto in Francia dove Macron è stato
eletto da una minoranza mentre il grosso degli elettori è rimasto a
casa. Si è votato la settimana scorsa in Germania con molte astensioni e
si era votato anche in America con l’elezione minoritaria di Trump.
Accanto
all’astensione, che si registra soprattutto tra i giovani, si verifica
anche un netto aumento di partiti che provocano la rabbia popolare
contro la società e chi la guida, cioè le classi dirigenti. L’attacco
più violento viene da una destra e una sinistra estreme, che con opposte
motivazioni sono però accomunate da vero e proprio ribellismo. Non sono
furori nuovi, la storia ci dice che ci sono sempre stati, non come
situazioni permanenti ma come momenti di grave decadenza dell’istinto di
stare insieme. C’è un detto di carattere religioso che ha un valore
generale ed è questo: «Dio ha creato l’amore ed anche il viaggio».
Il
viaggio, in questa frase, significa il mutamento che molto spesso
provoca la trasformazione dell’amore in un sentimento diverso o
addirittura opposto: non più amore ma indifferenza, antagonismo o
addirittura odio; non più Noi ma Io, non più pace ma guerra, non più
democrazia e libertà ma tirannide. Per fortuna (e per sopravvivenza) il
viaggio verso il peggio non è la situazione naturale della società, anzi
è un’emergenza e come tutte le emergenze non è la naturalità, ma non è
neppure un raro evento. La natura è “l’insieme”, spesso però insidiato
dall’emergenza.
In un bel libro di Roberto Calasso uscito in
questi giorni e intitolato L’innominabile attuale c’è una splendida
immagine di Baudelaire con il quale il libro si chiude e che descrive
purtroppo la situazione che stiamo vivendo: «Sintomi di rovina. Edifici
immensi. Numerosi, uno sull’altro, appartamenti, camere, templi,
gallerie, scale, budelli, belvedere, lanterne, fontane, statue.
Fenditure, crepe. Umidità che proviene da una cisterna situata vicino al
cielo. Come avvertire la gente e le nazioni?».
Purtroppo le cose ora stanno così.
I
concreti problemi che abbiamo davanti a noi e che la nostra discussione
sulla natura della società può aiutarci a risolvere sono i seguenti: 1.
Come affrontare il tema del rafforzamento dell’Europa avendo come
stadio finale la Federazione dei 19 Paesi dell’Eurozona. 2. Come
risolvere il problema dell’emigrazione dall’Africa verso l’Europa. 3.
Come risvegliare i giovani a partecipare alla politica democratica.
Nell’ampio
discorso di Macron pronunciato pochi giorni fa alla Sorbona il processo
verso l’Europa federale si fonda su una riforma delle attuali
istituzioni dell’Ue: un ministro delle Finanze dell’Eurozona,
responsabile di fronte ai 19 Paesi della politica economica, avendo come
interlocutore il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi.
Un ministro responsabile della sicurezza interna dell’Europa minacciata
dal terrorismo. Un esercito europeo formato da contingenti forniti dagli
eserciti dei 27 Paesi dell’Unione. Una politica dell’immigrazione che
tenda ad arginare l’arrivo di masse africane e a favorire la crescita
economica di quel continente che ci fronteggia. L’abolizione del
Trattato di Dublino di cui si parla da tempo senza però che sia mai
stata realizzata.
Questo è il programma esposto da Macron.
Naturalmente il Presidente francese vuole la Francia alla guida di
questo programma e fa conto dell’appoggio soprattutto dei Paesi del Sud
Europa a cominciare dall’Italia. Del resto questa leadership francese è
più che giustificata dalla storia europea.
Quanto al tema dei
giovani esso è affidato soprattutto a loro. Essi possono ed anzi debbono
collaborare alla fondazione di scuole adatte a modernizzare la loro
educazione culturale, non solo nel proprio Paese ma anche su scala
europea (una sorta di Erasmus su scala continentale e addirittura
mondiale) ma la base di riavvicinamento dei giovani alla società, alla
parola scritta, ai libri della cultura classica e a quelli della
modernità illuministica, dipende da loro, dall’ambiente familiare in cui
vivono, e dalle loro discussioni tra compagni di vita. I giovani
debbono vivere come legittima e anzi doverosa ambizione quella di
fornire la nuova classe dirigente europea. Questo è un problema
fondamentale del prossimo futuro e ha l’elemento determinante della
politica nel senso aristotelico del termine.
Da questo punto di
vista la società globale e la sua sempre più sviluppata tecnologia
contengono al tempo stesso elementi positivi e negativi rispetto alla
formazione dei giovani. Positivi perché dispongono di mezzi di
comunicazione sempre più sviluppati; negativi perché quei mezzi
rischiano di distrarre i giovani, di impedire al loro pensiero di
svilupparsi e di favorire soltanto il loro individuale piacere. Il
piacere, di qualunque tipo esso sia, deve provenire anche dal pensiero
nel senso profondo del termine. Se così non è, il piacere accentua un
individualismo spensierato ed egoista e peggiora i tempi bui nei quali
stiamo vivendo.
C’è una splendida canzone del grande jazz che ha
la motivazione dei tempi bui che stiamo attraversando. Si chiama Stormy
Weather e motiva quello “Stormy”: «Da quando il mio compagno ed io non
stiamo più insieme piove sempre — keeps rainin’ all of the time — piove
sempre».
Il blues esprime tristezza e malinconia, come le poesie
di Dante e di Guido Cavalcanti le quali però contengono anche la
speranza del futuro. Se i giovani le rileggessero crescerebbe in loro
quella speranza di cui il mondo di oggi ha estremo bisogno.