il manifesto 1.10.17
Cento piazze e «un’invettiva», la Cgil per la libertà delle donne
Mobilitazione
nazionale. Susanna Camusso spiega: Le parole sono armi contro le donne,
spesso le narrazioni di stupri e femminicidi sono tossiche, vogliono
ricacciarci indietro, ma non passerà
di Rachele Gonnelli
«Le
parole possono essere armi, parole stravolte nel loro senso e che
finiscono per essere usate contro le donne, come abbiamo visto in tutto
il mese di settembre. E proprio non si può lasciarlo passare». Susanna
Camusso, leader della Cgil, spiega così, sotto il palco di piazza
Venezia, il senso della giornata di mobilitazione del principale
sindacato per protestare contro la violenza sulle donne, la
depenalizzazione del reato di stalking, e più in generale contro una
narrativa tossica per cui stupri e femminicidi diventano spesso un
processo alle vittime: cosa indossavano, erano troppo allegre, avevano
bevuto, troppo nottambule, avevano un altro partner e così via.
IL
LINGUAGGIO è così al centro di una manifestazione sindacale , Susanna
Camusso lo ribadisce anche dal microfono di quella che è sono una delle
decine di piazze nella quale la giornata per la libertà delle donne
della Cgil si è articolata. «Segnaliamo un problema culturale,
profondo», continua. È una critica esplicita «ai mass media, ma anche ai
magistrati, ai politici, ai troppi silenzi maschili di chi maneggia le
parole e proprio per questo ha una grossa responsabilità». Sono le
parole ripetute dal palco dalla segretaria generale. Perché – come è
scritto nell’appello nazionale lanciato dalla stessa Camusso e
sottoscritto da decine di personalità femminili, incluse Luciana
Castellina e Norma Rangeri, Bianca Berlinguer, Livia Turco, ieri
apprezzato pubblicamente anche dalla presidente della Camera Laura
Boldrini – «la violenza maschile sulle donne non è un problema delle
donne, che non vogliono far vincere la paura e rinchiudersi dentro
casa». E ancora: «Il linguaggio utilizzato dai media e il giudizio su
chi subisce violenza, su come si veste o si diverte, rappresenta
l’ennesima aggressione alle donne. Così come il ricondurre questi drammi
a questioni etniche, religiose, o a numeri statistici, toglie senso
alla tragedia e al silenzio di chi l’ha vissuta».
E LE CONDIZIONI
DI LAVORO come entrano nel discorso sul linguaggio? Le donne non
sarebbero più in grado di essere autonome e solidali di fronte a
violenze e angherie se fossero più e meglio impiegate nei luoghi di
lavoro? Com’è noto, l’Italia – dati Eurostat 2017 – resta penultima,
quasi a pari merito con la Grecia, quanto a forza lavoro femminile
impiegata. La percentuale di donne in età lavorativa (cioè dai 15 ai 64
anni) occupate in lavori extradomestici retribuiti sul totale delle
donne di quelle età da noi resta al il 48,8 per cento, quando la media
europea è del 61,1 per cento, e in alcuni paesi come la Svezia o la
Germania supera largamente il 70 per cento.
«Certamente se le
donne si trovassero di più nei luoghi di lavoro si sentirebbero meno
sole, sarebbero più capaci di rompere il cerchio di solitudine delle
violenze domestiche – risponde Susanna Camusso – anche se nei luoghi di
lavoro spesso si trovano a vivere le stesse dinamiche della condizione
generale, con in più talvolta le molestie. Ma affrontare il tema
dell’occupabilità femminile significa – continua la leader della Cgil –
parlare di asili, trasporti, pregiudizi sulla maternità, politiche
sbagliate che erogano bonus invece di servizi, significa dire che non è
più vero che le donne studiano di meno degli uomini, anzi, e che spesso
trovano posti solo dequalificati. E c’è l’amarezza per noi – ammette da
sindacalista – di dover sempre ricominciare da capo il discorso, perché
mentre le donne, le ragazze, sono cambiate e sono cittadine del mondo
come e più dei maschi, il racconto che viene fatto le ricaccia sempre
indietro». E si torna al linguaggio.
E ALLA LIBERTÀ di scegliere,
di uscire da logiche di ricatto e di subordinazione, in cui non viene
riconosciuta la dignità di soggetto e si resta relegate in una
condizione di oggetto, che sia preda o, nel migliore dei casi, vittima
da tutelare. «Qualcuno ha definito il nostro appello un’invettiva – dice
ancora Camusso dal palco romano – ed è vero. Gli appelli finora non
sono serviti. Deve cambiare il modo di discutere di questi temi. Dietro i
femminicidi non ci sono raptus, c’è solo l’idea che l’altra è un
oggetto che possiedi e di cui puoi fare ciò che vuoi. Stiamo regredendo,
ce lo dobbiamo dire: questi temi sono sempre più considerati solo delle
donne». E lei schiera invece l’intera confederazione.