Corriere 1.10.17
Ipocrisie e ius soli
di Ernesto Galli della Loggia
L’incerta
gestione politica che il Pd ha fatto della legge sulla cittadinanza e
il relativo rimpallo di responsabilità non devono far perdere di vista
il merito del provvedimento. Che è giusto che vada in porto — dal
momento che alla necessaria integrazione degli immigrati serve una
simile legge — ma con alcune modifiche dettate da circostanze che fin
qui, invece, non sembrano essere state prese in considerazione.
Circostanze che secondo me sono soprattutto le seguenti:
1) Se è
demagogica l’immagine agitata dalla Destra di un’Italia a rischio
d’invasione dall’Africa, è pure demagogica e falsa l’idea divulgata da
certa Sinistra e da certo cattolicesimo, che approvare la legge sarebbe
dettato da un elementare dovere di umanità. Fino a prova contraria,
infatti, coloro che oggi si trovano in Italia, tanto più se con un
regolare permesso di soggiorno (ed è a questa condizione che fa sempre
riferimento anche il progetto di legge) non si trovano certo in una
condizione di reietti, di non persone prive di diritti. Non sono
condannati a un’esistenza immersa nell’illegalità.
E ssi e i loro
figli, nati o no che siano qui da noi, sono protetti dai codici e dalla
giustizia della Repubblica, hanno diritto all’assistenza sanitaria,
hanno diritto a fruire del sistema d’istruzione italiano, possono
iscriversi a un partito o a un sindacato. Non sono dei paria, insomma.
2)
La cittadinanza una volta concessa non può essere tolta se non
eccezionalmente. È una decisione in sostanza irrevocabile. Ma concederla
o non concederla è una decisione che deve ispirarsi a criteri
esclusivamente politici (non giuridici: nessuno ha diritto a divenire
cittadino di alcun Paese se una legge non glielo riconosce. Non esiste,
infatti, né può esistere, una sorta di diritto «naturale» a essere
cittadino di questo o quello Stato: tanto più quando, come è ovviamente
il caso di tutti coloro che mettono piede in Italia, si tratta di
persone che una cittadinanza già ce l’hanno). Ho detto criteri politici:
vorrei sottolineare «drammaticamente» politici, dal momento che con una
nuova legge sulla cittadinanza come quella oggi in discussione si
tratta niente di meno che di modificare il demos storico di un Paese.
Proprio
perciò nel definire i caratteri di una tale legge una classe politica
degna del nome non dovrebbe guardare solo all’oggi ma al domani e al
dopodomani. Immaginare tutti i possibili sviluppi della situazione
attuale valutando attentamente ogni eventualità.
3) In questa
valutazione non può esserci posto per alcuna ipocrisia dettata dal
politicamente corretto: bensì solo per il realismo, per un saggio
realismo. Ora questo ci dice che non tutte le immigrazioni sono eguali
(e dunque alla cortese obiezione che mi ha mosso il direttore di
Repubblica Mario Calabresi circa la mia proposta di vietare la doppia
cittadinanza — «non si capisce perché sia lecito e pacifico poter avere
il passaporto italiano e quello statunitense ma sospetto mantenere
quello marocchino o senegalese» — la risposta è semplice: perché il
Marocco e il Senegal non sono gli Stati Uniti).
L’immigrazione
islamica, infatti, è un’immigrazione particolare per almeno due ordini
di ragioni: a) perché non proviene da uno Stato ma da una civiltà, da
una cultura mondiale rappresentata da oltre una ventina di Stati, e con
la quale la cultura occidentale ha avuto un aspro contenzioso millenario
che ha lasciato da ambo le parti tracce profondissime; b) perché alcuni
degli Stati islamici di cui sopra mostrano — non finga la politica di
non sapere e non vedere certe cose — un particolare, diciamo così,
dinamismo antioccidentale. Da un lato, alimentando sotterraneamente
radicalismo e terrorismo, dall’altro (ed è soprattutto questo che deve
interessarci) svolgendo un’insidiosa opera di penetrazione di natura
finanziaria nell’ambito economico, e di natura politico-religiosa
(apertura di moschee e di «centri culturali») all’interno delle comunità
islamiche presenti nella Penisola. Le quali da tutto questo lavorio
ricavano la spinta a un forte compattamento cultural-identitario di un
contenuto tutt’altro che democratico (ci si ricordi per esempio dei
sentimenti antiisraeliani/antisemiti già così diffusi in quel mondo).
4)
La cittadinanza significa il diritto di voto. In una tale prospettiva e
alla luce di quanto appena detto è necessario evitare nel modo più
assoluto che, complice il prevedibile aumento dell’immigrazione africana
e non solo, domani possa sorgere la tentazione di un partito islamico.
Il quale, sebbene forte di solo il 3-4 per cento dei voti, tuttavia, con
l’aiuto del proporzionalismo congenito del nostro sistema politico,
potrebbe facilmente diventare cruciale per la formazione di una
maggioranza di governo. C’è qualcuno che ha pensato a queste cose, a
evitare che esse possano prendere una simile piega?
In realtà la
legge di cui stiamo discutendo si chiama impropriamente dello ius soli
mentre molto meglio sarebbe pensare a una legge fondata sullo ius loci .
Il
testo attuale, infatti, non riconosce per nulla l’essere nato in Italia
come condizione sufficiente per ottenere la cittadinanza, come dovrebbe
fare una legge realmente ispirata a quel principio. Vi aggiunge essa
per prima condizioni ulteriori di natura culturale e non, le quali
riguardano sia il richiedente sia la sua famiglia (l’adempimento di un
ciclo scolastico, il possesso di un regolare permesso di soggiorno da
parte di un genitore, ecc.) sono personalmente convinto che a queste
condizioni sia opportuno aggiungerne altre, in obbedienza a un principio
basilare: e cioè che vanno, e possono essere, integrate le persone, non
le comunità. E che proprio per far ciò è necessario, nei limiti del
possibile e rispettando i diritti di tutti, cercare di allentare il più
possibile il vincolo identitario-cultural-comunitario che spesso,
specialmente nelle comunità islamiche, chiude gli individui in un
involucro antropologico ferreo (si pensi alla condizione delle ragazze e
delle donne in genere). Solo allentando un tale vincolo è possibile il
reale passaggio a una nuova appartenenza ideale e pratica quale è
richiesta dal partecipare realmente a una nuova cittadinanza.
Per
favorire e insieme accertare quanto ora detto penso che almeno queste
altre tre condizioni dovrebbero essere poste per ottenere la
cittadinanza italiana da parte degli immigrati: l’obbligo di abbandonare
la cittadinanza precedente; la conoscenza della lingua italiana in
entrambi i genitori del giovane candidato, non già solo in uno di essi
come nel testo attuale (genitore che poi finirebbe per essere quasi
sempre il genitore maschio: mentre la conoscenza dell’italiano anche
nella madre costituirebbe un indizio assai significativo di superamento
della condizione d’inferiorità della donna tipica di molte culture
diverse dalla nostra); infine l’obbligo di accertamenti sull’ambiente
familiare a opera dei servizi sociali sotto l’egida di un apposito
ufficio presso ogni prefettura.