Il Fatto 1.10.17
L’invenzione del razzismo
di Furio Colombo
Capitolo primo: il tricolore
Da
quando Italia è Italia gli italiani non sono mai stati amici intimi e
fidati degli altri italiani. La spaccatura fra Nord e Sud era arrivata
al punto dei memorabili cartelli sui portoni di Torino (anni 50): “Non
si affitta ai napoletani”. C’è sempre stato in Italia il dominio (anche
quando era onesto e non implicava corruzione) delle affinità di regione e
anche di area. Chi, quando avrebbe detto la frase che è rimasta
impronunciabile dal dopo Cavour fin quasi ai giorni nostri “l’Italia
agli Italiani” ? Più strana ancora, e del tutto estranea alla vena
culturale di questo Paese il logo “Prima gli italiani”.
Prima di
chi, di che cosa, a meno che si stesse parlando di calcio? Ricordiamoci
tre eventi esemplari. Primo: le bandiere italiane compaiono dovunque,
dal Quirinale ai bassi di Napoli e persino sulle stazioni di benzina,
solo alla vigilia di una partita internazionale ritenuta importante.
Secondo:
in tutte le campagne italiane la bandiera tricolore segnala tuttora un
punto vendita del coltivatore diretto che apre un banco dei suoi
prodotti (il famoso km zero) su strade locali.
Terzo, quando
Italia e italiani si sono sentiti coinvolti in un grande e pauroso
affare internazionale, la guerra in Iraq (2003), sono comparse in tutto
il Paese, milioni di bandiere arcobaleno, non di bandiere italiane, per
dire “Pace”.
La gente sapeva benisssimo (persino i tanti che non
ne potevano avere memoria personale) che l’esposizione in massa di
bandiere tricolori avrebbe voluto dire guerra.
Dunque questo è un
Paese di patriottismo di fatto, schivo di simboli nazionali fondato su
un forte legame con un luogo, un borgo, un quartiere.
Capitolo secondo: autostima di Italia e di italiani
Chiunque
abbia seguito la lunga lotta e i molti vittoriosi (ma non immediati)
esiti del “made in Italy” conosce bene il percorso: la fiducia italiana
per l’Italia è arrivata attraverso successi, a volte trionfali,
ottenuti, riconosciuti, celebrati in altri Paesi, a cominciare dagli
Stati Uniti. La piccola Olivetti Lettera 22 si è affermata nel mondo (e
riconosciuta non solo da milioni di compratori ma anche dai musei)
quando è stata montata su una colonnina di ferro lungo un marciapiede
della Fifth Avenue di New York in modo che i passanti potessero provare a
scrivere.
Dopo la morte inaspettata e improvvisa di Olivetti,
eminenti uomini di azienda italiani, chiamati a valutare il che fare,
non si sono accorti che era pronto alla Olivetti, il primo grande
computer europeo ed era pronta la tecnologia per il primo personal
computer italiano. E tutto ciò ben prima dei miracoli della Silicon
Valley.
Hanno preferito comprare IBM e poi Apple e Microsoft, e
abbandonare il doppio capolavoro italiano che viaggiava con 20 anni di
anticipo.
Come mai adesso mentre abbiamo spostato in America
persino la Fiat e tutto il suo indotto, e mentre migliaia di borghi e
villaggi sono spopolati e i bambini non nascono, sentiamo dire e
ripetere, fra uno sventolio di bandiere, che “l’Italia appartiene agli
Italiani” benché sia stata sempre svenduta o lasciata perdere o lasciata
andare?
Capitolo terzo: che cosa hanno avuto gli italiani dall’Italia
Abbiamo
detto fin dall’inizio che gli italiani sono scettici sul loro Paese,
non si fidano dei connazionali e sono certi di non ricevere il dovuto.
Una classe dirigente infima, distratta e corrotta per parare il problema
del rendere conto del non fatto o del sottratto, ha inventato guerre
che sono come gli incendi dolosi estivi: basta un accendino e divori una
foresta. Provo a elencarle.
– Guerra delle paghe. Oltre a essere
sempre più modeste sono anche sempre più incerte. Provocano
sottomissione o rabbia. Gli immigrati si prestano come colpevoli (appena
li fai mangiare e dormire o curare in ospedale), per sostenere che
stanno rubando a te il dovuto.
– Guerra della rabbia. I migranti
servono a sfogare la rabbia che un tempo provocava e induriva gli
scontri politici, sociali e i reclami del lavoro. Nessun potente ti leva
più niente o ti priva del dovuto. Sono loro, i migranti che si
intromettono senza diritto. E per giunta, come ha detto una donna alla
signora eritrea che voleva occupare la sua casa regolarmente affittata
nei quantieri dei Trulli, è di pelle nera.
– Guerra
dell’invasione. Avviene in un Paese spopolato, senza figli, dove le
persone, rese infelici dagli inganni politici, dalla solitudine
esistenziale e dalla mancanza di futuro, vengono persuase di un furto
che non si può perdonare: ti rubano, loro e i loro figli, il futuro. E
così nasce, lungo un percorso calcolato bene, l’incattivito razzismo
italiano.