il manifesto 1.10.17
Al Trullo, dove gli squadristi vanno a caccia di immigrati
di Giuliano Santoro
ROMA
Prendete l’ingresso di una palazzina popolare in una periferia
qualunque di Roma, trasformatelo in un non-luogo, avulso da ogni
relazione sociale e ogni tipo di contesto, e fatene il set di uno
teatrino razzista: «Roma ai romani», «Tolgono le case agli italiani per
darle agli stranieri», «Il popolo italiano finalmente si ribella». Una
cosa del genere è accaduta qualche giorno fa in via Giovanni Porzio, al
Trullo, nel quadrante sud-ovest della capitale, quando un manipolo di
estremisti di destra ha impedito che una casa popolare venisse
consegnata alla famiglia che ne era legittima assegnataria. Tra di essi
compariva Giuliano Castellino, volto noto del neofascismo romano con
qualche inciampo nella droga (un paio d’anni fa nella sella del suo
scooter venne ritrovato un etto di cocaina) e il tentato abboccamento
nella destra di governo (c’era lui dietro l’operazione de Il Popolo di
Roma, che all’epoca di Gianni Alemanno doveva costituire la base
militante della scalata dell’allora sindaco al potere).
E ALLORA
CONVIENE FARSELO, un giro al Trullo, per scoprire che quello della
borgata in preda alla «guerra tra poveri», via di mezzo tra la legge
della giungla e il codice del ghetto, è soltanto uno stereotipo. Tanto
per cominciare, di Trullo ce ne stanno almeno due. Da una parte c’è la
collina di Monte Cucco, dove sorgono le palazzine in cortina dell’Ater,
teatro del raid xenofobo dell’altro giorno. Da qui, scorgendo oltre
qualche ettaro di agro romano, si vede il «colosseo quadrato» dell’Eur.
Il Palazzo della Civiltà italiana che si erge in mezzo alla zona
residenziale e degli affari che per conformazione sociale e tradizione
politica poco ha a che fare con la Roma popolare. «Pare un pezzo di Roma
Nord catapultato da queste parti», dicono gli abitanti. Monte Cucco
viene a sua volta percepito come un luogo a parte, circostanza
abbastanza frequente nella Roma scollata e disunita frutto di decenni di
urbanistica dissennata.
Nell’arcipelago di enclave che a volte
pare essere diventata la città, la protuberanza di Monte Cucco viene
percepita da alcuni come separata dal resto del Trullo, dove vive la
maggioranza dei 30 mila abitanti. Più in basso, oltrepassati prima gli
orti urbani che conducono alle palazzine popolari e poi la frontiera
immaginaria rappresentata proprio dall’asse di via del Trullo, si dipana
l’altra zona, quella di Monte delle Capre. È da queste parti che nel
dopoguerra venne edificata la Rectaflex, la prima fabbrica italiana di
macchine fotografiche Reflex. La fabbrica oggi ospita diverse attività
per il quartiere. Al posto della sala saldature c’è un piccolo teatro.
Dove sorgevano gli uffici e l’officina, una biblioteca di quartiere
retta dall’attività di volontari.
«Un paio di anni fa circa –
raccontano – veniva qui a prendere dei libri una donna eritrea. Anche
lei aveva avuto la casa da quella parte». «Da quella parte» significa
Monte Cucco. «Quella donna era molto spaventata – prosegue la nostra
interlocutrice – raccontava di aver trovato un ambiente ostile, di aver
dovuto mettere le grate alla finestra perché le entravano in casa al
solo scopo di intimidirla». Come è andata a finire? «Deve essere andata
via – ci dicono – perché non l’abbiamo più vista da queste parti, non è
più venuta in biblioteca».
«ADESSO SI PARLERÀ soltanto dei
razzisti, pareva che con la storia dei poeti e dei pittori fossimo
riusciti a dargli un’altra immagine, a ‘sto quartiere», dicono al
mercato, mentre si fa la spesa sotto il sole d’inizio autunno. Pare
strano che Benito Mussolini, come si racconta, giusto in una giornata di
ottobre di 77 anni fa, vedendo le case popolari, esclamò: «Sembrano
caserme più che abitazioni». Quello che all’epoca si chiamava ancora
Villaggio Costanzo Ciano, aveva il pregio strategico di trovarsi a
ridosso della linea ferroviaria che da Roma conduceva a Civitavecchia.
Ecco perché vi venne insediata una fabbrica di filo spinato, merce di
cui doveva esserci grande richiesta nel periodo tra la Prima guerra
mondiale e il fascismo. I «poeti e pittori» sono gli artisti
metropolitani che hanno rilanciato la lingua del Belli scrivendo sui
muri, e che hanno decorato il quartiere tempestandolo di graffiti.
Le
periferie romane covano rabbia sotto la cenere lasciata dal fuoco di
paglia dei proclami elettorali. L’altro giorno il leader di Forza Nuova
Roberto Fiore ha annunciato che i quartieri in cui la sua formazione
«riempie il vuoto lasciato dal Movimento 5 Stelle, che ormai ha perso
totalmente consenso» sono Monte Cucco, Tor Bella Monaca, Magliana, Tor
San Lorenzo, Tiburtino III e il Tufello, disegnando con precisione
millimetrica la mappa dei luoghi della città teatro negli ultimi mesi di
lugubri «marce per la sicurezza», minacce a centri di accoglienza,
aggressioni. «Stiamo diventando egemoni», dice Fiore.
Si tratta di
esagerazioni mitomaniache tipiche del personaggio, ma appare certo che
dopo la valanga di voti che tutte le periferie romane hanno consegnato a
Virginia Raggi, accerchiando letteralmente gli unici due municipi del
centro storico in cui ha vinto il Pd, sono in cerca di un senso di
fronte ai vuoti della nuova amministrazione. Ma la propaganda ha le
gambe corte: al Tiburtino III è bastato che i comitati di abitanti,
quelli veri non infiltrati da neofascisti, si organizzassero per far
emergere la verità.
AFFACCIA SUL MERCATO del Trullo, in cima ad
una scalinata, lo storico centro sociale Ricomincio dal Faro, che prende
origine dall’occupazione di un cinema di ormai trent’anni fa e che
assieme alla palestra popolare della ex scuola Baccelli in via Orciano
Pisani costituisce un nodo di solidarietà del quartiere. Si trova
proprio a Monte Cucco, «da quella parte», di fronte all’appartamento
presidiato da Forza Nuova. «Certo che nel nostro territorio ci sono
delle contraddizioni – raccontano – ma i razzisti come quelli dell’altro
giorno vengono da altrove, qui non li conosce nessuno, fanno interventi
spot, mordi e fuggi e poi vanno via. Noi abbiamo piena legittimità nel
quartiere, ci muoviamo senza problemi. Proprio nello scorso mese di
luglio in quel posto abbiamo fatto una festa popolare».