il manifesto 1.10.17
Rosatellum, l’incostituzionale mito del capo
di Gianni Ferrara
L’illegittimità
è un vizio congenito. Estirparlo, dissolverlo, si dimostra impossibile.
E impossibile appare anche limitarne gli effetti. La lettura del
Rosatellum-bis lo conferma. La composizione attuale del parlamento,
dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza numero
1 del 2014 e non sostituita, col dovuto scioglimento, da eletti col
sistema elettorale risultante dalla stessa pronunzia della Corte, non sa
infatti produrre che atti o proposte di atti illegittimi, appena
attingano alla rilevanza costituzionale. Come dimostra la deformazione
della Costituzione respinta dal corpo elettorale il 4 dicembre e
l’Italicum, sanzionato dalla Corte costituzionale. Due constatazioni,
queste, il cui significato e il cui valore sono del tutto assenti dal
dibattito in corso alla Camera sulla legge elettorale che è interessato a
tutt’altro che alla ricerca di un sistema rigorosamente coerente con la
Costituzione.
Se lo fosse, infatti, il Rosatellum-bis non sarebbe
stato presentato. Non lo sarebbe stato per l’eclatante, immediata,
grossolana, irrimediabile violazione del principio fondante e
qualificante il tipo di manifestazione indefettibile della volontà
popolare, il voto. Voto che il Rosatellum schiaccia e distorce. Lo
schiaccia amputandone la gamma delle potenzialità, quelle di scegliere
il candidato o i candidati alla propria rappresentanza. Perché scelta
che risulterà già operata nella lista da chi ha presentato la lista.
Chiarisco.
L’articolo 48 della Costituzione fissa i caratteri del voto stabilendo
che deve essere «personale ed eguale, libero e segreto». Lo personalizza
quindi sia nell’elettore all’atto dell’esercizio del suo diritto di
voto sia nel candidato per cui l’elettore vota, votandolo per chi è,
oltre che per con chi si candida. Non lo personalizza certo in chi ha
presentato o ha dettato la lista e nell’ordine con cui ha collocato i
candidati della lista. Definendolo uguale, gli attribuisce la stessa
efficacia di ognuno dei voti espressi nell’elezione che si svolge. Lo
equipara quindi anche al voto di chi ha composto la lista.
Qualificandolo come libero, ha voluto sottrarlo ad ogni coazione,
compresa quella dell’ordine di lista. Stabilendone la segretezza ha
voluto assicurare la massima garanzia ai caratteri che lo identificano.
Non
poteva essere più rigorosa la configurazione del diritto di voto nella
Costituzione. È la verità della democrazia che il voto deve rivelare, la
credibilità di quel principio e di quella pratica che si denomina
sovranità popolare. Il che significa che ogni compressione, ogni
restrizione, ogni deviazione del diritto di voto coinvolge la forma di
stato, incide sulla qualità della democrazia, incrina la Repubblica.
Il
Rosatellum lo fa. E con conseguenze devastanti del sistema politico,
quella di trasformare la figura di membro del parlamento, coinvolgendo
immediatamente la stessa configurazione dell’istituzione di cui farà
parte, e così il carattere e l’essenza della Repubblica parlamentare.
Devastante perché preclude una credibile rappresentanza della base
popolare della Repubblica che solo la proporzionale potrebbe assicurare
all’attuale sistema politico italiano. Il Rosatellum è invece
esattamente funzionale all’investitura dei «capi delle forze politiche
che si candidano a governare», l’eversiva formula contenuta nel testo
unico delle norme sulle elezioni al parlamento come modificato dal
Porcellum. Formula che elude, esclude la funzione rappresentativa
dell’elezione in parlamento per sostituirla con l’investitura di un
«capo» di «forza politica» (si badi) non forza parlamentare. Formula che
avrebbe imposto il rinvio di quella legge al parlamento per «manifesta
incostituzionalità», rinvio sciaguratamente omesso dal presidente della
Repubblica Ciampi.
Invece di sanare l’incostituzionalità
manifesta, il Rosatellum la aggrava. Si guarda bene dal sopprimere
l’istituzione dei «capi», prevede i collegi uninominali, li collega alle
liste, e le blocca. Chi è eletto in parlamento da lista bloccata, come
già l’eletto nel collegio uninominale, dovrà la sua elezione a chi ha
compilato la lista collocandolo in modo da assicurargli il seggio che
rientra tra quelli che la lista prevedibilmente otterrà. Rappresenterà
così chi lo ha collocato nel posto corrispondente a quello che sarà
prevedibilmente acquisito alla lista, in parlamento rappresenterà quindi
il «capo» della forza politica. Non gli elettori.
Torna per altra
via a riproporsi il progetto dell’uomo solo al comando, quello del capo
della forza politica che prevarrà nelle elezioni. Lo avevamo sconfitto
il 4 dicembre scorso. Far rispettare quella decisione del corpo
elettorale è quindi obbligo costituzionale.