il manifesto 18.10.17
Roman Rosdolsky, amante fedele dei «Grundrisse»
Ancora
fondamentale il suo «Genesi e struttura del Capitale di Marx», a 50
anni dalla morte. Si ripercorre la figura poco nota dell’intellettuale
ucraino ed eterodosso
di Yurii Colombo
Quando
Roman Rosdolsky muore a Detroit il 20 ottobre 1967 aveva appena finito
di correggere le bozze di Genesi e struttura del Capitale di Marx,
un’opera a cui aveva lavorato per quasi vent’anni e che uscirà postuma
l’anno successivo. Secondo Marcello Musto, quella di Rosdolsky «fu la
prima, e anche la principale mai scritta, monografia dedicata ai
Grundrisse. Tradotta in molti paesi, favorì la loro divulgazione e
circolazione ed ebbe un notevole influsso su tutti i loro successivi
interpreti».
Anselm Jappe ha fatto notare che il carattere non
meramente filologico della Genesi è da attribuire al fatto che prima
dell’esplosione del ’68 «a differenza del marxismo tradizionale,
Rosdolsky non vede nelle contraddizioni apparenti della realtà
capitalista delle semplici mistificazioni, ma l’espressione di
contraddizioni reali. Ciò è significativo per comprendere il feticismo
della merce non come fenomeno che appartiene unicamente alla sfera della
coscienza, ma come un fenomeno reale».
GRAZIE A UN ERUDITO
traduttore di Marx come Bruno Maffi la Genesi fu disponibile in italiano
già nel 1970 diventando presto opera discussa sia a livello accademico
sia all’interno del dibattito teorico dell’estrema sinistra (si pensi al
seminale Marx oltre Marx di Toni Negri o a L’Ape e il comunista delle
Brigate Rosse). Malgrado lo straordinario impatto che la Genesi avrà per
la divulgazione dei Grundrisse, la biografia del marxista ucraino è
rimasta poco conosciuta e solo quest’anno in Germania è stata pubblicata
un’ampia biografia (Rosdolsky-Kreis, Mit permanenten Grüssen).
ROSDOLSKY
nacque a Lviv nel 1898 nella parte occidentale dell’Ucraina sotto il
dominio austroungarico. La sua famiglia faceva parte dell’intelligencija
cittadina e il padre era un famoso etnografo. Roman iniziò a militare
nei circoli socialisti già al liceo e poi dopo l’Ottobre, aderì al
movimento comunista, di cui sarà uno dei fondatori nell’Ucraina
occidentale. Tuttavia la sua adesione al marxismo restò eterodossa e
fortemente segnata dal nazionalismo ucraino. Alla metà degli anni ’20
ruppe con il movimento comunista ufficiale e aderì all’opposizione
trotskista, di cui condivideva l’analisi della «rivoluzione permanente»:
«Come membro di un popolo ’senza storia’ che aveva solo classe
capitalista rudimentale, non potevo sperare nell’instaurazione di uno
Stato borghese ucraino. D’altro canto l’irrisolta questione contadina e
l’oppressione nazionale creava un terreno favorevole per il rapido
sviluppo delle idee del socialismo rivoluzionario», affermerà in
seguito. Il suo interesse per la questione ucraina non scemerà mai.
Negli anni ’30, su questa tema, scrisse l’importante studio La comunità
di villaggio nella Galizia Orientale e la sua dissoluzione.
DALLA
FINE DEGLI ANNI ’20 visse prevalentemente a Vienna dove completò la tesi
di dottorato su Friedrich Engels e il problema dei popoli senza storia
in cui criticava la tesi del «Generale» secondo cui i popoli slavi erano
intimamente reazionari e incapaci di giungere all’indipendenza.
Un’opera
che il crollo dei regimi dell’est e la rinascita dei nazionalismi hanno
riportato alla ribalta (in Italia è uscita per i tipi della Graphos nel
2005).
Sono stati anni particolarmente intensi quelli di Vienna
per Rosdolsky. Dal 1926, collaborò con il Marx-Engels Institute di Mosca
fino a quando David Rjazanov venne estromesso dall’incarico. Partecipò
con entusiasmo all’esperienza della «Vienna Rossa» e conobbe Emily Meder
che sarà la compagna di una vita. Dopo l’Anschluss fu espulso
dall’Austria e tornò a Lviv.
Tuttavia con la spartizione della
Polonia seguita al patto Ribentropp-Molotov, la Galizia finì sotto il
controllo sovietico, e Rosdolsky temendo di essere arrestato come
trotskista, fuggì a Cracovia. Conobbe qui l’altra metà della «mezzanotte
del secolo»: i bambini dell’orfanotrofio ebraico dello stabile
adiacente a quello in cui viveva con la moglie, furono deportati dalle
truppe tedesche. Da quel giorno, scriverà in una sua memoria, sentirà
l’intensa mancanza delle «abitudini di quegli orfani ebrei che avevo
iniziato a osservare con curiosità e del suono poco familiare
dell’yiddish».
NEL 1942 Rosdolsky fu arrestato a Vienna e passerà
il resto del periodo bellico nei lager di Auschwitz, Ravensbrück e
Oranienburg lavorandovi come carpentiere. Nel 1947 decise di lasciare
l’Austria per gli Stati Uniti nel timore di essere sequestrato dalla Gpu
e spedito – come altri suoi compagni – nei gulag sovietici.
Rosdolsky
non si integrerà mai nella società americana. In piena era maccartista
non riuscì a ottenere nessuna cattedra: svolgerà per il resto della vita
l’attività di libero ricercatore. Oltre a lavorare alla Genesi,
approfondirà lo studio della politica leninista, e in particolare del
«disfattismo rivoluzionario». Abbandonata la politica attiva – della IV
Internazionale non condivideva caratterizzazione sociale dell’Urss – le
difficoltà economiche portarono lo studioso ucraino ad isolarsi e a
lunghe pause nelle sue ricerche. «La tua depressione non mi è estranea»,
gli confesserà in una lettera Paul Mattick.
In quegli anni
Rosdolsky manterrà uno scambio epistolare anche con altri eretici del
movimento comunista come Korsch, Frölich, Deutscher e Mandel, il quale
gli dedicherà il suo studio sul tardocapitalismo. Quest’ultimo, in un
omaggio all’amico ricorderà come «prima di morire assistette con grande
gioia a due avvenimenti che confermavano la sua piena fiducia nella
vittoria finale delle idee di Lenin e Trotsky… la riapparizione di una
opposizione comunista di sinistra in Polonia cristallizzata nella
Lettera aperta di Modzelevsky e Kuron e il carattere di massa che
assunse la rivolta studentesca contro la guerra in Vietnam».
Dopo la morte, sua moglie Emily tornerà in Europa dove parteciperà ai movimenti sociali e femministi degli anni ’70.