il manifesto 17.10.17
Se la borghesia catalana volta le spalle a Puigdemont
Spagna.
Il blocco economico e sociale, che ha puntellato gli ultimi decenni del
governo catalano, toglie l’appoggio al governo lasciandolo in mezzo al
guado
di Tommaso Nencioni
Il velo di incertezza
che ammanta il processo indipendentista catalano non dipende solo dal
muro contro muro tra il governo statale e quello regionale. E’ il
processo in sé ad essere contraddittorio, e questa contraddittorietà è
più scoperta che mai tra i conservatori del Partito Democratico Europeo
Catalano (PDECat), di cui fa parte il presidente Puigdemont.
Bisogna
tener presente lo stress a cui è sottoposta la “ragione sociale” del
PDECat, che oltre alla presidenza esprime i ministri più importanti ed
il gruppo parlamentare più numeroso, grazie però ad un’alleanza con
l’estrema sinistra nazionalista (Cup) e con un altro movimento storico
dell’indipendentismo, Esquerra repubblicana.
Proprio Esquerra
repubblicana grazie al processo sta recuperando una centralità nella
lotta politica catalana della quale non godeva dagli anni Trenta del
secolo scorso.
Il catalanismo è un fenomeno politico-sociale e
culturale variegato, nonché trasversale all’intera società. Storicamente
tradotto in un sistema politico a sé stante, estremamente diversificato
rispetto a quello dello Stato spagnolo nel corso della transizione.
Perfino il partito comunista, e fin dal 1936, non ha mai avuto
formalmente una propria «federazione catalana»: Pce e Psu di Catalogna –
caso unico nella Terza Internazionale – avevano entrambi delegati
propri al Comintern.
DETTO DI QUESTA capillare trasversalità del
fenomeno, della vivacità con cui è propagato dalla società civile, e
degli innegabili margini di manovra che al suo interno si sono aperti in
passato e si aprono tutt’oggi per la sinistra – maggioritaria nella
città di Barcellona e nel suo retroterra industriale – non si può certo
trascurare l’egemonia esercitata dai conservatori sul governo della
Generalitat. Convergència democratica de Catalunya, poi PDECat (il
cambio di nome si deve ai numerosi scandali di corruzione a cui è stato
recentemente legato il partito) governa infatti ininterrottamente la
regione autonoma dai tempi della transizione, eccezion fatta per una
parentesi di centro-sinistra a metà degli anni Duemila.
Il
progetto politico che sboccò politicamente nel corso della Transizione
in Convergència risale in realtà ai primi anni Sessanta del Novecento.
Leader indiscusso ne è stato fino agli albori del XXI secolo Jordi
Pujol, espressione del cattolicesimo moderato nazionalista, con solidi
addentellati nel mondo della cultura catalanista e della borghesia del
principato, che proprio nella decade dei Sessanta iniziava a mal
sopportare l’autarchia economica del regime franchista. Il pujolismo
ebbe l’indubbio merito di contendere al fascismo l’egemonia sull’alta
borghesia catalana e di convertirla, per così dire, alla democrazia.
Allo stesso tempo, elaborando un programma economico latamente
socialdemocratico, secondo i dettami dell’epoca, Pujol ed i suoi seppero
conquistarsi un consenso di massa nella piccola borghesia. Si deve in
effetti ai governi di Convergència, oltre che alle spinte dal basso di
un movimento operaio e popolare particolarmente agguerrito e ben
organizzato, la costruzione di un welfare catalano moderno ed
efficiente. Un sistema di protezione sociale che ha retto fino allo
scoppio della crisi, quando il governo guidato da Artur Mas, che di
Pujol era stato il delfino, si fece portatore degli interessi
dell’oligarchia barcellonese ed attuò una feroce politica di retalladas
(tagli allo stato sociale e manovre economiche all’insegna
dell’austerità) e di repressione dei nuovi movimenti sociali.
Di
Mas è rimasta anzi celebre l’accusa lanciata al governo spagnolo di
Rajoy di non essere abbastanza ligio nell’applicazione dei dettami della
trojka. Venendo all’oggi, l’arringa di Puigdemont di fronte al
Parlamento non si è conclusa con una richiesta al popolo catalano di
resistere, o al governo spagnolo di trattare, ma, significativamente,
con un appello ai grandi gruppi finanziari a continuare ad avere fiducia
in lui.
FIN DALLA SUA nascita come movimento socio-culturale,
inoltre, il pujolismo, nelle varie declinazioni politiche, si è sempre
legittimato come il partito della modernizzazione europeista della
Catalogna – la regione, altro pezzo forte della narrazione catalanista,
più “europea” nel panorama di complessiva arretratezza dello Stato
spagnolo.
Mas prima, e Puigdemont poi, hanno mostrato grande
abilità tattica nel porsi alla testa della rinascita del movimento
indipendentista dopo la bocciatura, da parte del tribunale
costituzionale spagnolo, del nuovo statuto di autonomia. Questo ha
permesso al catalanismo conservatore di uscire dall’angolo in cui si era
cacciato dopo anni di austerità e corruzione. Ma cavalcando la tigre
dell’indipendentismo, ha finito per cozzare contro i pilastri da cui il
movimento storicamente aveva tratto forza, ossia l’europeismo e
l’appoggio della grande borghesia.
MENTRE LE GRANDI entità
finanziarie si sono affrettate, dopo l’1 ottobre, ad abbandonare
Barcellona, la commissione europea faceva sapere che una Catalogna
indipendente si sarebbe ritrovata fuori dall’Ue, un concetto ribadito
anche dal duo Merkel/Macron.
La situazione politica catalana e
spagnola pare più che mai aperta a scenari estremamente diversificati –
da una progressiva normalizzazione, all’apertura di un processo
costituzionale, alla ripresa dell’indipendentismo e successiva tragica
reazione da parte del governo centrale. Ma il blocco sociale ed
economico che ha puntellato negli ultimi decenni il governo della
Generalitat si è espresso chiaramente in questi giorni, ed è difficile
immaginare che il governo Puigdemont non ne venga influenzato.