martedì 17 ottobre 2017

il manifesto 17.10.17
Lo tsunami della ribellione collettiva
Habemus Corpus. Di ora in ora sempre più attrici e artiste parlano, di qua e di là dall’oceano, delle molestie subite da registi, produttori, attori fuori e sui set cinematografici
di Mariangela Mianiti

È ormai una gigantesca onda, uno tsunami inarrestabile. Di ora in ora sempre più attrici e artiste parlano, di qua e di là dall’oceano, delle molestie subite da registi, produttori, attori fuori e sui set cinematografici. Asia Argento chiama in causa un attore e regista italiano che a 16 anni, mentre parlavano del personaggio che lei doveva interpretare, tirò fuori il pene, e poi di un regista statunitense con il complesso da Napoleone che dieci anni dopo la violentò dopo averle somministrato GHB, la cosiddetta droga dello stupro.
Claudia Cardinale ha rievocato il comportamento del suo compagno, il produttore Franco Cristaldi, che pretendeva che il figlio nato dalla violenza sessuale subita a 16 anni fosse tenuto nascosto e vivesse lontano da lei. Non fu sopraffazione sul posto di lavoro, ma predominio da produttore e maschio sì. E poi ci sono le parole della cantautrice islandese Bjök che in un post su Facebook racconta di quando un regista danese la molestò durante le riprese di un film. Björk non fa il nome del regista, ma non può che essere Lars von Trier con il quale girò nel 2000 Dancer in the Dark.
Björk aggiunge alla denuncia parole importanti con le quali dice che, provenendo da un Paese che è uno dei mondi più vicini all’uguaglianza tra i sessi e da una posizione di forza e indipendenza nel mondo della musica duramente guadagnata, le fu subito chiaro che le umiliazioni e le molestie del regista in quell’ambiente erano la norma, per di più incoraggiate e sostenute da dozzine di membri della troupe. Lei si ribellò e tenne testa al regista perché era forte, protetta dal suo entourage e non le interessava fare l’attrice. Ma che è successo alle altre, quelle che non sono riuscite a fare altrettanto e si sono trovate imprigionate in un sistema compiacente e omertoso?
Weinstein quindi è in abbondante compagnia e questo spiega perché l’inchiesta del New York Times da cui è partito tutto abbia scoperchiato il vaso di Pandora.
Non siamo in presenza di sporadiche denunce tardive, ma di una presa di coscienza e ribellione collettiva contro un sistema troppo a lungo sopportato e/o appoggiato dalle connivenze. Di certo non tutte le attrici sono state abusate o molestate, di certo c’è chi ha detto di no, ma questo non può essere una giustificazione usata contro chi non ha saputo opporsi, perché se ci si muove in una palude, uscirne è molto più difficile e faticoso. E poi siamo sicuri di sapere che cosa è costato, in termini di carriera, a chi si è ribellata? La verità è che non ci si dovrebbe trovare nella condizione di dover dire di no. Succede anche nella vita.
Non tutte le donne sono picchiate dai mariti, così come non tutte subiscono umiliazioni sul lavoro. Se da una parte questo dimostra che non tutti gli uomini sono uguali, dall’altra ci ricorda che la ribellione è un percorso individuale e collettivo reso possibile, nel caso delle libertà femminili, dal doppio salto mortale fatto dal femminismo che ha reso praticabili consapevolezze e assertività prima impossibili o molto difficili.
Ora c’è da fare un altro salto mortale e non solo nel mondo del cinema e dello spettacolo perché nessuna conquista resta tale in eterno e ovunque. C’è sempre qualcosa in più da conquistare o riprendersi, un testimone da consegnare, un’eredità da trasmettere, consapevolezze da costruire. Non si tratta di fermarsi a guardare quello che finora non si è riusciti a fare, ma ciò che si è conquistato per dirsi che, se abbiamo potuto ottenere ciò che si è ottenuto, molto altro e di più è possibile, e necessario, non solo nel mondo dello spettacolo, ma in ogni ambito e luogo.