martedì 17 ottobre 2017

Il Fatto 17.10.17
Il no vuol dire sempre no
di Silvia Truzzi

Il ricatto, è noto, ha due attori: ricattatore e ricattato. Vogliamo metterli sullo stesso piano, in questo caso un piano orizzontale? No, né dal punto di vista della morale né da quello del diritto. Tralasciamo l’apparentemente dorata Hollywood e il produttore-predatore, traslocando questo bel giochino in una fabbrica o in un più moderno call center, dove lavorano donne che più che fare carriera hanno l’ambizione di sopravvivere: probabilmente il giudizio cambierebbe.
Quindi attenzione con i distinguo: le molestie sessuali sono un reato, come lo è lo stupro. Gli unici, tra l’altro, in cui la vittima si trova nove volte su dieci nella terribile situazione di doversi, lei, discolpare: è un dato culturalmente inaccettabile, perché dà per implicita l’equazione femmina-puttana. E a questo, sia consentito, dovrebbero anche pensare le donne che stanno scambiando le libertà e i diritti conquistati dopo anni di lotte con la libertà di fotografarsi il culo e metterlo su Instagram. È ugualmente irricevibile l’affermazione del nostro stimato collega a proposito dei “no” che sarebbero “sì”: portata alle estreme conseguenze può giustificare perfino lo stupro. Chiarite queste non marginali questioni preliminari, dire che esistono donne che si concedono (senza costrizioni) per ottenere favori dal capo è scoprire l’acqua calda. Ma ci sono tanti modi in cui, nei luoghi di lavoro, i maschi adulano e lusingano i loro superiori. Sono due forme di prostituzione, solo che una è moralmente condannata, l’altra passa inosservata quasi sempre. Certo però si deve guardare l’intera vicenda Weinstein anche dal punto di vista di quelle che hanno detto no e per questo hanno pagato vari prezzi, talvolta salati: Massimo Fini ha perfettamente ragione quando dice che le donne sono, in questo, le peggiori nemiche delle donne. La tentazione della scorciatoia nasce dall’opportunismo e spesso anche dall’insicurezza: le donne competenti e autorevoli non hanno bisogno di esibire la sessualità, di essere equivoche e persino di darla via, per farsi strada e ottenere ciò che vogliono. Lo spettacolo che danno di sé, a Hollywood e dappertutto, è di una tristezza infinita: potessero osservarsi da fuori, vedrebbero solo pietà (che non è mai un bel sentimento da suscitare).
Ps: la siepe (che è femmina e mai come in questo caso ci si augura che il guardo escluda), ci fa sapere di essere stanca delle molestie che Massimo Fini minaccia da anni. A breve invocherà l’intervento di Laura Boldrini.