il manifesto 13.10.17
Fatah-Hamas, la riconciliazione ora è realtà
Gaza.
L'accordo è stato firmato ieri al Cairo. Dal primo dicembre l'Anp avrà
di nuovo il controllo amministrativo e di sicurezza interna di Gaza. Abu
Mazen andrà nella Striscia nelle prossime settimane. Congelato, per
ora, il nodo delle armi di Hamas e del ruolo futuro del suo braccio
armato.
di Michele Giorgio
GERUSALEMME Dal primo
dicembre il governo dell’Autorità nazionale palestinese tornerà ad avere
il controllo pieno di Gaza e 3mila uomini della guardia presidenziale
saranno dispiegati nelle strade della Striscia e ai valichi con l’Egitto
e Israele. Sono questi alcuni dei punti principali dell’accordo,
mediato dagli egiziani, firmato ieri al Cairo dal numero due di Hamas
Saleh al Aruri e dal capodelegazione di Fatah Azzam al Ahmad. Accordo
che ha posto fine a una ferita, rimasta aperta per oltre 10 anni, dalle
conseguenze devastanti non solo sul piano politico. L’intesa è stata
seguita da manifestazioni di gioia nelle strade di Gaza con migliaia di
persone. La speranza della gente di Gaza è che la ritrovata unità
nazionale serva a dare un nuovo impulso alla ricostruzione della
Striscia, ancora a pezzi dopo l’offensiva israeliana “Margine
Protettivo” del 2014, e colpita più di recente dalle misure punitive
varate dal presidente dell’Anp Abu Mazen proprio per costringere gli
islamisti a rinunciare al controllo di Gaza. Ieri si festeggiava anche
ai vertici di Israele. Non certo per la riconciliazione Fatah-Hamas. In
Israele è stata accolta come una vittoria la decisione annunciata dal
Dipartimento di stato che gli Stati Uniti usciranno nel 2018 dall’Unesco
per protestare contro un presunto atteggiamento filo-palestinese e
anti-israeliano dell’agenzia dell’Onu. «C’è un prezzo da pagare per la
discriminazione contro Israele, è una nuova era all’Onu…La decisione
(statunitense) rappresenta un punto di svolta», ha commentato
l’ambasciatore israeliano all’Onu, Danny Danon. Simili le dichiarazioni
fatte da altri esponenti politici israeliani, tra i quali l’ex ministra
degli esteri Tzipi Livni che via twitter ha applaudito al passo fatto da
Washington.
Abu Mazen, ora pronto ad annullare le sua misure
punitive che hanno colpito soprattutto i civili, dovrebbe tornare a
Gaza, per la prima volta in 10 anni, entro tre o quattro settimane.
Almeno così dicono le indiscrezioni, manca ancora l’ufficialità. Ieri il
presidente palestinese per la prima volta si è mostrato soddisfatto. Ha
dato il benvenuto al «risultato raggiunto da Fatah e Hamas con la
mediazione egiziana al Cairo» e ha sottolineato che «l’accordo rafforza e
accelera i passi per porre fine alla divisione e ripristinare l’unità
del popolo palestinese, del suo territorio e delle istituzioni
palestinesi». Quindi ha esortato il governo e tutti gli apparati e le
istituzioni a lavorare per attuare quanto contenuto nell’intesa e per
realizzare «ciò a cui mira il popolo, ossia ritrovare l’unità». In base
all’accordo il governo del premier Rami Hamdallah prenderà il controllo
dei settori civili e di sicurezza interna. È prevista anche la
formazione di un governo di unità nazionale – nelle prossime due
settimane tutte le forze politiche, non solo Fatah e Hamas, si
riuniranno per creare il nuovo esecutivo -, l’organizzazione di elezioni
politiche e presidenziali, la formazione di una commissione congiunta
per decidere il futuro degli impiegati assunti da Hamas negli
istituzioni pubbliche (circa 45 mila persone tra civili e militari).
I
leader di Hamas e Fatah hanno evitato di toccare l’argomento ma
l’accordo annunciato ieri all’alba dal capo di Hamas Ismail Haniyeh e
confermato da Abu Mazen è stato reso possibile solo per il congelamento
del nodo più difficile da sciogliere: le armi di Hamas e il ruolo dei 25
mila combattenti del braccio militare del movimento islamista, le
Brigate “Ezzedin al Qassam”. «La questione dovrebbe essere affrontata
nei negoziati successivi al Cairo (il prossimo 21 novembre, ndr), in
realtà resterà chiusa in un cassetto, per evitare che comprometta
l’esito finale della riconciliazione» spiegava ieri al manifesto un
giornalista di Gaza, S.K., ben informato sulle decisioni che sono prese
ai vertici del movimento islamista. «La soluzione è stata trovata, anzi
imposta, dagli egiziani – ha proseguito il giornalista palestinese – In
sostanza gli uomini di Ezzedin al Qassam si renderanno invisibili per
lasciare nelle strade di Gaza soltanto alle forze di sicurezza ufficiali
dell’Anp. Abu Mazen alla fine ha accettato la soluzione imposta (dal
Cairo) dopo aver chiesto con forza il disarmo di Hamas». Ma chi avrà
autorità sull’arsenale del movimento islamico che include razzi che nel
2014 sono stati in grado di raggiungere ogni punto di Israele? «Le armi
sono di Hamas e resteranno sotto il controllo di Hamas» ha concluso S.K.
«i leader del movimento islamista però hanno accettato di decidere con
Fatah e le altre fazioni palestinesi se e quando usare quelle armi ed
impiegare la sua milizia». Una soluzione che favorisce la
riconciliazione ma che rende più debole Abu Mazen agli occhi degli
egiziani che inquadrano l’accordo firmato ieri in un processo più ampio
che dovrà portare alla normalizzazione dei rapporti tra mondo arabo e
Israele.