il manifesto 13.10.17
Partono i tormenti del posto in lista. Pd e azzurri già nel panico
Verso il voto. Deputati a caccia del seggio sicuro, Berlusconi orfano di Verdini cerca un sostituto
di Andrea Colombo
Ieri
a Montecitorio non solo i deputati del Pd facesvano la fila dal collega
Giacomo Portas, mago in carica dei flussi elettorali. Bussavano alla
porta del sapiente anche forzisti e centristi. Tutti in cerca di una
rassicurazione su quei seggi che la nuova legge rischia di scippargli
con destrezza. Del resto non è un mistero che a suggerire la scorciatoia
della fiducia non siano stati elevati ragionamenti politici. La
minaccia veniva tutta da quei deputati che si sentivano più al sicuro
con le preferenze che con la mannaia delle nomine decise dalle
segreterie.
Stavolta, però, la partita che si giocherà con la
composizione delle liste è ancora più importante del solito. Peserà
quanto il voto propriamente detto, forse di più. A fare la differenza
saranno infatti i collegi maggioritari: dalla definizione di quei
candidati non dipenderanno solo i rapporti di forza all’interno della
coalizione e il tasso di fedeltà al capo degli eletti, ma anche la
possibilità di dare vita ad alleanze di governo diverse da quelle messe
in campo ufficialmente.
Il punto è particolarmente determinante
nel centrodestra. Quando si tratterà di salpare per approdare al
Nazareno bis, re Silvio dovrà non solo disporre di un numero di
parlamentari sufficiente a formare una maggioranza col Pd, ma anche
contare su un esercito robusto abbastanza da non rendere la sua Fi una
ruota di scorta del Pd. Missione difficile. A nord, dove la vittoria nei
collegi è ben più probabile che al centro e al sud, la Lega insisterà
per piazzare i suoi candidati ovunque. Quando lascerà la piazza
maggioritaria agli azzurri punterà i piedi per strappare candidature
orientate verso Pontida che, al momento del salto della quaglia, non
seguirebbero Berlusconi.
È uno di quei giochi in cui non si può
improvvisare. Bisogna disporre di plenipotenziari capaci di puntare i
piedi e con un quadro d’insieme della situazione molto preciso. Il
migliore in campo è ancora Denis Verdini, che però non pare disposto a
occuparsi dell’incombenza in conto Silvio. L’aspetto più preoccupante
per il signore di Arcore è che non dispone neppure di un sostituto
capace almeno di emulare l’impareggiabile Denis. Spedire un principiante
al tavolo delle liste, però, potrebbe rivelarsi disastroso quanto un
crollo elettorale.
In superficie il Pd sembra non avere di questi
problemi, ma è un abbaglio. Per contrastare il centrodestra e i 5S al
sud, Renzi dovrà mettere in campo nella quota maggioritaria nomi capaci
di tirare la volata. Per trovarli dovrà rivolgersi ai feudatari locali, i
governatori. Le loro liste civiche probabilmente non passeranno la
soglia di sbarramento, e sin qui poco male dal momento che i loro voti,
come quelli del partito animalista nel centrodestra, non andranno
sprecati: confluiranno nei forzieri della coalizione. In cambio però il
Pd dovrà fare spazio ai nomi indicati dai governatori nella quota
maggioritaria, e nessuno garantisce che Emiliano o Crocetta siano poi
disposti a convogliare i “loro” eletti verso l’alleanza con Forza
Italia. Il discorso vale a maggior ragione per eventuali alleati di
sinistra come Campo progressista.
A complicare la faccenda c’è la
necessità per Renzi di avere dalla sua una Fi tanto forte da garantirgli
una maggioranza ma non da porre il veto sulla sua nomina a capo del
governo. Con questo obiettivo in mente, l’ex premier ha giocato di
sponda con la Lega, definendo una legge che va a tutto vantaggio di
Salvini. Col rischio però di ritrovarsi alla fine con una stampella
azzurra insufficiente per rientrare a palazzo Chigi.