venerdì 13 ottobre 2017

Il Fatto 13.10.17
Al suk della Camera la Trimurti renziana offre seggi e collegi
Terrore - Franceschini, Guerini e Rosato passano la giornata tentando di “sedurre” gli indecisi
di Wanda Marra

Sono le 21 e 15 quando il boato che si alza dai banchi del Pd saluta il sì al Rosatellum bis della Camera dei deputati. Un urlo liberatorio, dopo una giornata sfiancante, più che tesa. Nessuna protesta organizzata dall’opposizione in Aula. Luigi Di Maio e Danilo Toninelli del Movimento 5 Stelle si dirigono verso la piazza. La campagna elettorale è già iniziata.
Montecitorio si riscalda solo per le ultime dichiarazioni finali. Roberto Speranza (Articolo 1-Mdp) definendo “evaporata” la “diversità” del governo Gentiloni dichiara “evaporato” pure il vincolo di maggioranza. Renato Brunetta chiama “fallimentare” la legislatura. Nessuno applaude: troppa verità. Mentre per il Pd parla il capogruppo Ettore Rosato arrivano Luca Lotti, Maria Elena Boschi, Marianna Madia, Andrea Orlando, Angelino Alfano, Beatrice Lorenzin. Dario Franceschini era già da tempo seduto ai banchi del governo. Paolo Gentiloni, il premier, non si fa vedere.
“Dire no a questa legge significa votare per la dissoluzione del sistema”. Daniele Marantelli, deputato del Pd di minoranza, vicinissimo a Andrea Orlando, a metà pomeriggio argomenta così la motivazione per il sì al Rosatellum bis. Forse la frase più vicina al vero che si sente dire nei capannelli di Montecitorio, in una giornata in cui tutti fanno freneticamente i conti su quante possibilità hanno di essere candidati in un collegio sicuro o in un listino. La risposta che tutti cercano è se garantire il sistema voglia dire pure garantire la convenienza personale. Per alcuni le due cose vanno insieme.
Tutti hanno un gran da fare a trattare. Tra una stanza ai piani alti di Montecitorio e il Transatlantico una inedita trimurti renziana – Dario Franceschini, Lorenzo Guerini e Ettore Rosato – fornisce ai deputati smarriti la risposta: promettono collegi a rotta di collo, uno dopo l’altro. Fanno promesse che sarà praticamente impossibile mantenere tutte. Il pallottoliere è agitato: si contano per tutta la giornata almeno 80 franchi tiratori e nessuno è sicuro che, dovessero arrivare a 100, non sarebbero abbastanza per far saltare tutto.
Il ministro della Cultura è fisso alla Camera da mercoledì. Presidia il territorio. Per Forza Italia il lavoro di controllo lo fanno Brunetta e Francesco Paolo Sisto. Poi ci sono quelli che si danno un gran da fare a farsi vedere impegnati: Alessia Morani e Ernesto Carbone in primis. Due che per sopravvivere come parlamentari hanno bisogno dello sguardo benevolo di Matteo Renzi.
Il più attivo di tutti, però, è sempre Rosato, il capogruppo dem che ha avuto dal “capo” l’incarico formale di essere il frontman della legge, oltre che di garantire la tenuta del gruppo. Senza contare che è a un passo dal diventare una specie di “figlio costituente”, visto che la legge prenderà il nome da lui. Rosato è ovunque: in Aula, fuori dall’Aula, a rassicurare, blandire, minacciare, dichiarare. Verso le 20 riemerge da un angolo del Transatlantico: “Non lo distraete”, lo protegge un collega di partito. In campo, nell’ombra, a blandire e a “vendere” posti in lista nella natìa Toscana ci sono pure Luca Lotti e Francesco Bonifazi, Giglio magico in purezza.
Se ne stanno invece acquattati nella penombra i temuti “franchi tiratori”, ma i più tra gli indiziati vogliono solo credere alle promesse di rielezione e alla fine parecchi scelgono di giocarsi il terno al lotto: premono il pulsante che potrebbe portarli alla fine della carriera parlamentare, tutta nelle mani dei leader. Una sorta di cupio dissolvi o semplicemente di sfinimento: per l’intera legislatura l’unica richiesta che gli è arrivata dal partito (o da Palazzo Chigi nel caso di quelli del Pd) è stata premere pulsanti per decisioni prese altrove. Alla fine la rivolta dei peones è estesa, ma non tanto da mettere a rischio la legge elettorale che dovrà garantire la prossima Grande Coalizione.
L’Aula, intanto, va avanti dalla mattina. Passa la terza fiducia e poi pure il “salva Verdini”: i voti di Ala servono, sia alla Camera che al Senato. Gli ordini del giorno presentati sono 167. Pier Luigi Bersani prende la parola all’inizio del pomeriggio. Senza cravatta, con un volto provato che ricorda un’altra giornata a rischio, quella dei 101 che affossarono Romano Prodi e portarono lui alle dimissioni da segretario dem, cita il Vangelo secondo Giovanni: “Ti cingeranno i fianchi – nel collegio – e ti porteranno dove non vuoi andare”. Applaudono in molti, anche insospettabili, come i fittiani.
Renzi, che imponendo il voto di fiducia ha realizzato la forzatura decisiva, fa filtrare “grande soddisfazione”, ma segue il tutto da lontano: sa che con questa legge, come con il Consultellum, si arriverà alle larghe intese e che difficilmente il premier sarà lui. Eppure questa legge è l’unica che gli può consentire di scegliersi i parlamentari e di essere un’azionista di peso anche del prossimo esecutivo. Ora il Rosatellum va in Senato: in Commissione martedì, in Aula il 24. Sarà dura anche lì.