lunedì 9 ottobre 2017

Il Fatto 9.10.17
Aulla, la linea sottile tra buoni e cattivi
La caserma degli orrori - Il sindaco-avvocato difende un terzo dei carabinieri indagati
di Ferruccio Sansa

“Il comandante è cambiato. Tutti gli uomini tranne uno sono nuovi”. Ti accolgono così nella stazione dei carabinieri di Aulla. Sì, ti sembra quasi che lo scandalo dei carabinieri accusati di minacce, pestaggi, addirittura violenze sessuali sia alle spalle. Ma non è così facile, il male era profondo. Lo capisci scorrendo le carte dei pm che riguardano Valerio Liberatori, l’ex comandante provinciale di Massa, e altri ufficiali e militari in servizio in tutta la Lunigiana. Sono accusati di favoreggiamento degli indagati.
No, Aulla e la Lunigiana sotto la superficie sono sempre le stesse. E non bastano operazioni di facciata. I potentati hanno radici molto profonde in questa terra dove è nato Denis Verdini. Dove sono cominciate le fortune politiche di Sandro Bondi e Lucio Barani. Ma la Lunigiana è soprattutto il feudo della famiglia Ferri. Tutti assolutamente estranei all’inchiesta dei carabinieri. Ma, qui, forse più che altrove, il confine tra prima e seconda Repubblica è invisibile. Sinistra e destra sembrano non esistere o andare a braccetto. Mentre chi rappresenta le istituzioni è anche il difensore in tribunale dei carabinieri accusati.
Tutti sembrano uniti da vincoli di amicizia. E non soltanto perché ci si incontra in quella piazza che già nel nome tradisce l’anomalia: metà è intitolata ad Antonio Gramsci e metà a Bettino Craxi.
Già, si può partire da qui, dal centro di Aulla, cittadina partigiana, distrutta nella seconda guerra mondiale e ricostruita con palazzi e strade tracciati con il righello. A pochi passi c’è lo studio legale di Roberto Valettini, il neo sindaco Pd di Aulla. Un avvocato stimato, un uomo cortese. Un terzo dei carabinieri indagati sono clienti suoi o del suo collega di studio. “Non c’è nessuna incompatibilità, ho sottoposto anche la questione all’Ordine degli avvocati”, esordisce lui secco, poi subito recupera la cortesia, “avevo assunto l’incarico prima di essere eletto. Non potevo lasciarli”. Qualcuno ha storto il naso, perché quella caserma – se le accuse fossero confermate – avrebbe portato l’illegalità ad Aulla. Avrebbe minacciato dei cittadini. “Non mi farò pagare”, aggiunge Valettini. Ancora più singolare, dicono i critici. Così come qualcuno, vedi Legambiente, non ha trovato opportuno che Valettini – in passato anche presidente del comitato che raccoglieva molte vittime dell’alluvione 2011 – sia stato difensore di un ex assessore imputato nel processo per il disastro che devastò Aulla e provocò morti. “Ho dismesso gli incarichi”, sbuffa il sindaco. Al collega che lavora nello stesso studio. Non nasconde nulla Valettini, nemmeno che anche Barani sia stato un suo assistito oppure che “Enrico Ferri sia il mio testimone di nozze”. Sì, il ministro dei 110 all’ora, all’epoca Psdi, poi Forza Italia, infine Udeur. Tre figli: Cosimo è sottosegretario alla Giustizia. Filippo era un pezzo grosso della polizia ed è stato condannato nei processi per il G8. Jacopo è stato consigliere regionale in Toscana e oggi è consigliere del comune di Pontremoli.
C’è un filo che lega tutti da queste parti. E non è la bandiera politica. Barani era socialista e ora lo ritrovi nel centrodestra. Sandro Bondi invece viene da Fivizzano, paese inerpicato ai piedi delle Apuane, dove i vicoli si aprono in una splendida piazza medicea. Qui Bondi è stato sindaco del Pci, prima di passare al centrodestra. Come Barani. Come Verdini che è pure nato qui (anche se è andato via da piccolo). Adesso ecco molti di quei volti stretti accanto ai carabinieri. Mesi fa una manifestazione sorprendente: centinaia di persone a raccogliere firme in difesa degli indagati. Era planato anche Maurizio Gasparri. Barani ha detto: “Quello che è successo ad Aulla accade in tutte le caserme d’Italia. Ed è giusto così, i militari mica sono Maria Goretti”. Chissà se davvero accade in tutte le caserme d’Italia che si urli che i “negri devono mangiare banane”. Che gli si infilino dita nel sedere e pistole in bocca.
Il maresciallo è cambiato, ma a leggere le carte non sembra sufficiente per ridare credibilità ai Carabinieri in Lunigiana. E in tanti continuano a difenderli.