Il Fatto 8.10,17
“Il carabiniere violento mi disse: siamo protetti”
Massa, la denuncia di un testimone. Il ruolo degli ufficiali e le “soffiate”
“Il carabiniere violento mi disse: siamo protetti”
di Ferruccio Sansa
“Non
ho paura dei capi. Il mio superiore mi ha assicurato che posso stare
tranquillo’, il carabiniere violento mi disse proprio così”. È il
racconto di uno dei testimoni nell’inchiesta sulle violenze che
sarebbero state commesse dai carabinieri di Aulla. Insomma, i militari
della caserma della Lunigiana – accusati di aver minacciato, insultato,
picchiato e sottoposto a violenze sessuali degli immigrati – ritenevano
di avere le spalle coperte dai superiori. I pm Alessia Iacopini, Marco
Mansi e il procuratore di Massa Aldo Giubilaro che hanno in mano
l’inchiesta forse all’inizio hanno creduto che quella frase potesse
essere una millanteria. Ma poi hanno cambiato idea, si sono convinti che
qualcuno all’interno dell’Arma forse davvero copriva i colleghi
indagati. Ecco allora lo sviluppo clamoroso dell’inchiesta che a giugno
aveva portato a indagare 23 carabinieri (otto con misure cautelari):
oggi gli indagati sono addirittura 37, con intere caserme, come quella
di Aulla, azzerate. E altre, come quella di Pontremoli e Licciana,
pesantemente toccate. A leggere le 44 pagine dell’avviso di conclusione
delle indagini preliminari non emerge il ritratto di qualche mela
marcia, ma di un sistema che toccherebbe almeno le caserme della Val di
Magra. Un impianto accusatorio che finora ha retto: uno degli 8
carabinieri sottoposti a misure cautelari ha fatto ricorso al Tribunale
del Riesame che l’ha respinto ed è tuttora in carcere (si attende la
Cassazione). Il Tar deve ancora pronunciarsi sulla sospensione dal
servizio degli otto militari.
L’ultima novità è l’iscrizione tra
gli indagati di Valerio Liberatori, tenente colonnello e comandante
provinciale dei carabinieri di Massa (recentemente trasferito). Non è
l’unico indagato per favoreggiamento: c’è anche il comandante della
stazione di Pontremoli, Saverio Cappelluti. Scrivono i pm: “In
particolare il Liberatori dava ordine al Cappelluti, o comunque assumeva
insieme con quest’ultimo la decisione orale, di imporre al comandante
della stazione di Aulla di predisporre servizi di pattuglia in cui ad
Alessandro Fiorentino (tra i principali indagati) fosse impedito di
svolgere il ruolo di capo pattuglia… così rendendo infruttuosa
l’attività di intercettazione”. Ma indagato per favoreggiamento è anche
Amos Benedetti, in servizio presso la stazione di Licciana Nardi,
“perché aiutava Fiorentino a eludere le investigazioni, rivelandogli
l’esistenza di un procedimento penale a suo carico e di intercettazioni
sulle utenze a lui in uso”.
Oltre al favoreggiamento, c’è chi è
accusato di rivelazione di segreto istruttorio: “Rivelava a Fiorentino
l’esistenza di un procedimento a suo carico e di intercettazioni,
notizie che dovevano rimanere segrete”. Un’inchiesta difficile. Con i
carabinieri che hanno chiesto di indagare sui propri colleghi per poter
dimostrare che l’Arma è sana. Ma qualcosa è andato storto. C’è stato
anche chi ha chiesto ai superiori di essere sottratto alle indagini e
dedicato ad altri compiti perché il clima era pesante. “Comunque sia
l’inchiesta poggia su materiale raccolto da investigatori dell’Arma”, si
fa notare in ambienti dei Carabinieri. E potrebbe essere soltanto il
primo tassello: l’inchiesta sulla caserma di Aulla è conclusa, ma
durante le indagini sarebbero emersi elementi che hanno dato il via a
nuovi filoni. Tra l’altro si sta ancora cercando di stabilire se vi
siano stati ricoveri in ospedale di persone picchiate nella caserma.
Addirittura non è ancora esclusa l’ipotesi che vi sia una persona
scomparsa. “Parliamo di immigrati, gente di cui a volte nessuno conosce
il nome e la sorte. Persone dimenticate”, sospira uno degli
investigatori. Un’ipotesi ancora senza riscontri, né indagati.
I
189 capi di imputazione riportati dai pm nell’avviso descrivono una
caserma che sembra uscita da un film di Clint Eastwood. Ecco quattro
militari accusati “di aver colpito ripetutamente (per un periodo di
circa venti minuti) il signor K.E. con pugni, calci e scariche prodotte
da due storditori elettrici (i teaser)… mentre costui era sdraiato a
terra e ammanettato con le mani dietro la schiena”. Ma l’allora
brigadiere della stazione di Aulla andava oltre: “Offendeva K.E. con
espressioni come ‘fai schifo, marocchino bastardo’, con violenza e
mediante abuso di autorità, mettendogli un dito nell’ano, e
costringendolo a subire atti sessuali senza ragione alcuna se non
razziale”. C’è poi chi “puntava la pistola al volto di A.R. e
infilandogli la canna in bocca, proferiva le seguenti frasi ‘ti
ammazzo’, ‘ti sparo’”. Un giochetto che all’immigrato costava un dente,
lesioni al mento e all’arcata dentaria.
Altri episodi ricordano
piuttosto film di Totò e Peppino De Filippo. Come quando alcuni
appuntati in servizio ad Aulla la notte di Natale dichiarano di svolgere
un servizio delicato per conto dell’Arma di Chieti. E invece sono a
cena con i parenti. O quando due militari durante un controllo a un
ambulante autorizzato “avendo avuto la disponibilità di un giocattolo
erotico di forma fallica se ne appropriano”.
Un sistema che,
secondo gli inquirenti, andava avanti da tempo. Poi gli immigrati si
sono fatti coraggio e hanno cominciato a denunciare. Un avvocato che li
difendeva ha presentato querela ed è stato minacciato: “Ti mandiamo a
piedi”, gli avrebbe detto Alessandro Fiorentino, avvertendo che gli
sarebbe stata tolta la patente. Perché i carabinieri di Aulla avevano
paura dell’inchiesta giudiziaria. Non di punizioni interne, perché si
sentivano le spalle coperte.