giovedì 5 ottobre 2017

Il Fatto 5.10.17
1946-1948, l’Italia inquieta della democrazia seduttiva
Giovanni De Luna - Lo storico in libreria con il nuovo saggio: “La lezione è che il conflitto è fisiologico, non patologico”
di Stefano Caselli

“Tra il 1946 e il 1948 l’Italia ha vissuto un momento irripetibile, che chiamerei l’età della democrazia seduttiva”. Parola dello storico Giovanni De Luna, da ieri in libreria con La Repubblica inquieta (Feltrinelli), ideale prosecuzione del precedente La Resistenza Perfetta.
Professor De Luna, in quegli anni ci fu una concentrazione di eventi e di tensioni difficile da immaginare. Quanto alto è stato il rischio di catastrofe?
Indubbiamente alto, ma non è questo il punto. Ciò che affascina è che in quella congiuntura tutti i conflitti più radicali che il nostro Paese si è trovato ad affrontare nella sua storia – Monarchia contro Repubblica, fascisti contro antifascisti, operai contro padroni, Nord contro Sud, città contro campagna, centro contro periferia… – ci sono tutti, nessuno escluso. La lezione da trarne è che la democrazia si alimenta di conflitti, non è vero che ne viene disgregata. Il conflitto è la fisiologia democratica, non la patologia. Questa ossessione odierna della concordia, dove tutti devono andare d’accordo con tutti, è ridicola. Ecco perché la chiamo democrazia seduttiva: mobilitò l’intero Paese proprio per questo motivo.
Lei parla di Italia divisa, di due Italie. Eppure, a tratti, sembra una società più coesa di quanto sia oggi. In fondo cattolici e comunisti avevano forti punti di contatto culturale…
Per quanto riguarda il conflitto politico, ciò che prevale per gli attori in campo è il contesto storico e quello era uguale per tutti. L’identità politica tra comunisti e cattolici era profondamente divisa, ma sui valori concreti, la famiglia, la morale, i rapporti tra uomo e donna, torna con prepotenza l’Italia rurale, le differenze sono minime. L’operaio di Borgo San Paolo a Torino, il modello del comunista perfetto, doveva essere assolutamente monogamo, stare alla larga dai bordelli e non amare le osterie. Il buon padre di famiglia insomma.
Quanta di quell’Italia – se ancora esiste – è arrivata fino alla nostra epoca?
Quell’Italia non esiste più. Questo è il Paese del Novecento, non sono sopravvissuti i partiti, non sono sopravvissuti i valori, non è sopravvissuta nemmeno l’antropologia. L’unico punto di contatto, forse, è che – oggi come allora – sembra di nuovo possibile il recupero di una dimensione individuale nello spazio pubblico anche al di fuori dei canali istituzionali. In fondo la lezione della Resistenza è stata questa, la sola rifondazione è quella che parte dagli individui.
Colpisce il protagonismo assoluto dei leader politici e dei partiti, senza distinzioni di schieramento.
Questo è un dato di fatto, la grande qualità della classe politica. Se dovessi indicarne l’emblema sceglierei il discorso di De Gasperi alla Conferenza di Parigi (“Prendo la parola in questo consesso mondiale e sento che tutto, tranne la vostra cortesia, è contro di me…”). In quelle parole c’è tutta la dignità di una classe politica che era così all’altezza perché – ahimè – selezionata dalla più drammatica delle prove, la guerra civile. Che fossero comunisti, democristiani, socialisti, liberali, repubblicani, la sensibilità e la prossimità ai bisogni della gente – a causa anche dei compiti di elevatissimo grado che si imponevano – era immediata. Oggi questa equazione tra politica e bisogni non esiste più.
La storia non si fa con i se e con i ma, tuttavia se il referendum e le elezioni del ‘48 fossero andate diversamente, se Togliatti non fosse sopravvissuto all’attentato, che Italia sarebbe stata?
È andata come doveva andare. Questa storia finisce nel 1948, quando la cappa plumbea della Guerra fredda cade sul Paese. La vera rivoluzione arriverà con il boom economico, che abbatterà tutte le sovrastrutture sessuofobiche dell’Italia contadina. Ma sarà una rivoluzione che nascerà dalla società civile dinamica a cui una politica statica si accoderà, l’esatto contrario dell’immediato dopoguerra. Un po’ come accade oggi, per la verità.