giovedì 5 ottobre 2017

La Stampa 5.10.17
San Francesco, il Sultano e le “fake news” del 1200
In Egitto iniziate con oltre un anno di anticipo le celebrazioni per l'VIII centenario della visita del Santo di Assisi a Malik al Kamil. Un evento su cui circolano caricature di opposta fattura, tra chi lo esalta come gesto profetico di pace interreligiosa, e chi ne diffonde versioni anti-buoniste, trasformando il Poverello in un testimonial ante-litteram dell'identirarismo “cristianista”
di Gianni Valente

Roma San Francesco andò in Egitto nel 1219. Manca ancora ben più di un anno per inaugurare l'800esimo anniversario dell'incontro che in quel suo viaggio ebbe a Damietta con il sultano Malik al Kamil. Ma i frati francescani sembrano aver fretta, e in Egitto hanno già iniziato a commemorare l'ottavo centenario della visita del Poverello nelle terre dell'islam. La sera di lunedì 2 ottobre si è svolto al Cairo il primo evento delle commemorazioni ufficiali «che dureranno due anni», come ha tenuto a precisare il francescano egiziano Ibrahim Faltas, consigliere del Custode di Terrasanta. 
«La prossima tappa - ha aggiunto padre Ibrahim - sarà una celebrazione a marzo in Egitto. Poi tutti i francescani d'Egitto faranno una festa» nelle rispettive città. Il primo incontro commemorativo, con interventi e esibizioni canore ospitate presso la chiesa di San Giuseppe, al centro del Cairo, ha visto anche la proiezione di un film sulla visita egiziana del Santo di Assisi e sul suo incontro con il sultano ayyubide di origine curda, proiettato presso il cinema del Centro cattolico.
L'impazienza celebrativa dei frati francescani cresce intorno ad uno degli eventi della vita di San Francesco che più sembrano provocare l'attuale stagione ecclesiale. Nel tempo degli interventi militari in Medio Oriente bollati come nuove “Crociate” sia dalla propaganda jihadista che dai circuiti ecclesiali, e nel montare dei sentimenti anti-islam nei Paesi occidentali colpiti dal terrorismo, l'incontro tra San Francesco e il Sultano diventa fatalmente pietra d'inciampo e segno di contraddizione. 
Quell'episodio della vita di San Francesco viene da alcuni enfatizzato come uno dei più straordinari gesti di pace nella vicenda tormentata dei rapporti tra islam e cristianesimo, esaltato come una anticipazione profetica del dialogo interreligioso «moderno» e come «paradigma» del corretto modo di porsi della coscienza cristiana davanti all'Umma del profeta Mohammad. Nell'iconografia mediatica che ha accompagnato il viaggio di Papa Bergoglio in Egitto, in molti hanno affiancato l'incontro tra il Sultano e il Poverello d'Assisi alla foto dell'abbraccio tra l'attuale Successore di Pietro e il Grande Imam di Al Azhar. 
Nei suoi saggi dedicati all'incontro tra San Francesco e il Sultano, lo studioso francescano Gwenolè Jeusset ha messo a confronto quell'episodio con un'altra spedizione fatta dai frati minori verso il Marocco. A differenza di Francesco, i francescani arrivati in Marocco si erano messi a proclamare la superiorità della religione cristiana sulle dottrine insegnate da Mohammad, finendo per questo arrestati e torturati. Otto secoli dopo – suggerisce Jeusset – la scelta fatta dai francescani a Marrakesh appare come un vicolo cieco, mentre l'incontro tra Francesco e il Sultano, all'epoca considerato come una specie di fallimento, suggerisce una via per confessare Cristo che attraversa e non soccombe alla trappola del conflitto tra sistemi religiosi.
L'incontro tra Francesco D'Assisi e al Malik al Kamil non viene risparmiato dalle guerricciole pseudo-dottrinali tra circoletti clericali che funestano l'attuale stagione ecclesiale. Così, per reagire agli entusiasti che esaltano la cortesia del dialogo intercorso tra i due, e per denunciare le manipolazioni che trasformerebbero l'Alter Christus d'Assisi in un frate debosciato e vigliacco, antesignano patetico del relativismo religioso, i circuiti e i blog del neo-rigorismo identitario fanno circolare una “versione politicamente scorretta” della cronaca di quell'incontro, attribuedola a Fra Illuminato. In tale report, spesso indicato come proveniente da non meglio specificate “fonti francescane”, San Francesco compare come un predicatore che va apposta in Egitto per “sfidare” il Sultano con le verità su Dio uno e trino e su Gesù Cristo Salvatore di tutti. 
Nella cronaca circolante sui siti muscolari della galassia “cristianista”, si legge che: «Anche il Sultano, vedendo l’ammirevole fervore di spirito e la virtù dell’uomo di Dio, lo ascoltò volentieri e lo pregava vivamente di restare presso di lui». Ma il servo di Cristo, illuminato da un oracolo del cielo, gli disse: «Se, tu col tuo popolo, vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi. Se, invece, esiti ad abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo, dà ordine di accendere un fuoco il più grande possibile: io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa». 
Nella cronaca che piace ai siti dell'“orgoglio cattolico”, Francesco declina la sua sfida al Sultano con argomenti estremi: «Se mi vuoi promettere, a nome tuo e a nome del tuo popolo, che passerete alla religione di Cristo, qualora io esca illeso dal fuoco – avrebbe detto il Poverello al capo islamico - io entrerò nel fuoco da solo. Se verrò bruciato, ciò venga imputato ai miei peccati; se, invece, la potenza divina mi farà uscire sano e salvo, riconoscerete Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, come il vero Dio e Signore, Salvatore di tutti».
La credibilità di tale versione dell'incontro, con San Francesco votato a “dimostrare” la gloria di Dio sottoponendosi a una specie di ordalia, è sempre stata confutata dagli studiosi delle fonti francescane. E la Regola francescana del 1221, quella conosciuta come «non bollata», fornisce un antidoto almeno parziale alle caricature e alle manipolazioni di opposta fattura confezionate intorno all'incontro di Damietta. In quella Regola, ai frati che vogliono andare «tra i saraceni e gli altri infedeli», viene raccomandato come prima cosa «che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio (1 Pt 2,13) e confessino di essere cristiani». Poi, «quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio (Gv 3,5)».
L'ottavo centenario della visita di san Francesco al Sultano offre il pretesto ai cultori delle diverse caricature del Santo di Assisi – quelli che ne fanno la bandiera banale del sentimentalismo pan-religioso, e quelli che lo trasformano in un precursore dell'identitarismo clericale da “battaglia culturale” - di auto-compiacersi e estenuarsi a vicenda nelle loro baruffe pseudo-teologiche da social media. Ma sarà anche un'occasione preziosa per godere di nuovo delle parole e dei gesti di un Santo che ha sempre lasciato alla grazia di Cristo il compito di “lavorare” tutti cuori. Compresi quelli dei fratelli musulmani.