Il Fatto 5.10.17
Legge elettorale, a cosa serve la nostra campagna
di Silvia Truzzi
Le
ragioni per cui il Fatto ha iniziato la campagna per una legge
elettorale con cui i cittadini possano davvero scegliere i propri
rappresentanti sta tutta nelle parole presidente dell’Anpi Carlo
Smuraglia: “La legge elettorale, tra le leggi ordinarie, è quella che
più si avvicina alla Costituzione”. Perché è attraverso la legge
elettorale che si possono attuare i principi espressi nella Carta. Di
questa campagna, in un Paese non normale, ma semplicemente decente e
davvero democratico, non dovrebbe esserci bisogno. Se i nostri onorevoli
fossero davvero tali, non dovremmo spendere fiumi d’inchiostro sul
tema. Succede perché se la legge elettorale è – come ha scritto Gaetano
Azzariti – lo specchio di una democrazia, la nostra è alquanto
malconcia.
Dopo la pronuncia della Corte sul Porcellum (gennaio
2014) deputati e senatori avrebbero dovuto scusarsi, trovandosi
nell’imbarazzante situazione di sedere a Palazzo Madama e Montecitorio
con un grave difetto di legittimità: il Parlamento non è
incostituzionale (per via del principio di continuità dello Stato), ma è
dimezzato nella legittimità del suo mandato. Persone davvero onorevoli
si sarebbero precipitate ad approvare una legge elettorale legittima per
poi andare alle urne. Invece hanno osato approvare una riforma
costituzionale monstrum, che scardinava un terzo della Carta e, non
paghi, hanno pure approvato una legge elettorale valida solo per la
Camera, in previsione dell’abolizione del Senato poi scongiurata da
venti milioni di assennati cittadini. Ma c’è di più: quella legge
elettorale, l’Italicum, era pure incostituzionale in più punti, lo ha
stabilito la Consulta in gennaio. Dopo questa seconda umiliazione, uno
si sarebbe aspettato dimissioni di massa con ceneri in capo. O almeno
l’immediata approvazione di una legge che consentisse di andare al voto.
Ovviamente non è accaduto e dieci mesi dopo siamo ancora qui: in barba
al codice di buona condotta elettorale del Consiglio d’Europa (secondo
cui non bisognerebbe approvare nuove leggi elettorali nell’anno
precedente alle elezioni, perché si è troppo condizionati da interessi
di parte), siamo ancora impossibilitati ad andare al voto. Le leggi che
risultano dalle sentenze della Consulta sono disomogenee. La proposta in
discussione in questi giorni – il Rosatellum bis – secondo molti
studiosi presenta – ancora! – profili d’incostituzionalità (per esempio
un’alta percentuale di nominati). Al di là della scandalosa recidiva,
c’è una premessa di cui tener conto: è assolutamente anomalo che un
Paese resti senza legge elettorale, come accade in Italia, per anni: in
caso di necessità si deve sempre poter ricorrere alle urne.
Gustavo
Zagrebelsky ha detto che, al di là della legge elettorale, è la povertà
della proposta politica a generare disincanto tra i cittadini. Le due
cose sono strettamente connesse: leggi come Porcellum e il mai
utilizzato Italicum allontanano i cittadini dai loro rappresentanti e
svincolano questi ultimi dal patto di fiducia con territori ed elettori.
Last but not least: la governabilità è diventata l’ossessione di tutti i
commentatori, per non dire dei cosiddetti leader politici. Ma, di nuovo
con Azzariti, lo scopo della legge elettorale non è quello di votare i
governi: si votano i membri dell’organo legislativo, i rappresentanti
della nazione, che poi svolgeranno le proprie funzioni senza vincolo di
mandato. La democrazia parlamentare è cosa ben diversa dalla democrazia
del capo. “La sovranità appartiene al popolo”, recita la Costituzione al
primo (non a caso) articolo. Ce la vogliono scippare di nuovo, possiamo
provare a fermarli sommergendoli di firme (la petizione è sul sito del
Fatto).