Il Fatto 30.10.17
Dai Longobardi a Murat, le sliding doors d’Italia
Ben
prima dei Savoia furono diversi i tentativi di unificare la Penisola,
ma le sorti delle armi furono avverse. Le cocenti sconfitte militari del
Regno a partire dal 1866, poi, alimentarono il falso mito dell’italiano
pessimo soldato
di Andrea Santangelo
Gli
italiani vengono spesso accusati di avere scarso senso civico, poco
amor di Patria e di essere pessimi soldati. Una delle spiegazioni che va
per la maggiore è quella della nazione unita da troppo poco tempo. E
controvoglia. L’unione fu imposta dalle élite e mai realmente accettata
da ampi strati della popolazione. Per questo non ci fidiamo dello Stato e
non siamo disposti a sacrificarci per esso, in primis militarmente. In
realtà, ben prima dei Savoia ci furono tentativi di unificare
politicamente la penisola, solo che la sorte delle armi fu avversa.
Quelle battaglie sono diventate dei veri e propri turning point storico
militari (o delle sliding doors se preferite la metafora
cinematografica).
Dopo l’esperienza unificatrice dell’Impero
romano, i primi ad avere un’idea di dominio dell’intera penisola furono
quasi certamente i Longobardi. Il Papato glielo impedì, chiamando in
Italia i Franchi di Carlo Magno che sconfissero i Longobardi, nel 773,
nella battaglia delle Chiuse di San Michele. Il re dei Franchi divise
saggiamente in due il suo esercito ed entrò in Italia da differenti
percorsi (Moncenisio e Gran San Bernardo), mettendo in difficoltà il
sistema difensivo longobardo, imperniato sulle Chiuse della Val di Susa.
Dopo un rapido scontro, i Longobardi si ritirarono nella fortificata
Pavia, dove poi si arresero. Se re Desiderio avesse sconfitto Carlo, la
storia d’Italia avrebbe preso tutta un’altra piega e il Papato sarebbe
divenuto un docile strumento al servizio della corona longobarda. Non
andò così e lo Stato della Chiesa fu per tutto il Medioevo il principale
ostacolo alle mire unionistiche italiane, chiamando spesso a suo
supporto potenze estere. Anche diversi pontefici ebbero ambiziosi
progetti di espansione, ma senza mai realmente possedere le forze
militari per metterli in pratica.
Occorre attendere fino al
Rinascimento per avere nuove possibilità di unificazione, seppur quasi
virtuali e utopicamente effimere. Nel 1494, con la calata in Italia del
re francese Carlo VIII, i litigiosi staterelli italiani misero da parte
le loro rivalità fondendosi in una Lega militare. Il 6 luglio 1495, a
Fornovo nel parmense, francesi e italiani si scontrarono lungo il Taro.
La pioggia rese difficili le operazioni della Lega italiana, alzando il
livello del fiume e rendendo pesante il terreno; il piano troppo
complesso di Francesco II Gonzaga si rivelò un fallimento e Carlo VIII
riuscì a ritornare in Francia. Agli italiani sembrò di aver vinto, in
realtà le loro divisioni politiche e militari (ma soprattutto le loro
ricchezze) attirarono l’attenzione di francesi e spagnoli che
trasformarono l’Italia nel loro campo di battaglia. Se la Lega avesse
distrutto l’esercito francese, forse avrebbe potuto dare agio a qualche
stato italiano (Venezia? Una lega di più stati?) di unificare prima o
poi il Paese.
Cinque anni dopo il turning point di Fornovo, il
figlio di papa Alessandro VI, Cesare Borgia, costituì un suo ducato in
centro Italia grazie ai soldi del padre e all’aiuto militare del re
francese Luigi XII. In breve tempo si distaccò dai suoi due ingombranti
sponsor e cominciò a guerreggiare di testa sua, attaccando chi gli
pareva emettendo insieme anche eserciti assai innovativi tatticamente e
in cui l’elemento italiano, e in particolar modo quello romagnolo, era
predominante. L’improvvisa scomparsa di Alessandro VI mise in grave
difficoltà economica “il Valentino”, che non riuscì più a mantenere
sotto le armi tutti i soldati di cui aveva bisogno. E che questi piani
contemplassero la gran parte d’Italia ce lo dice un cronista coevo del
Borgia, il cesenate Giuliano Fantaguzzi: “volea fare a Cesena: palazo,
canale, rota, studio, piaza in forteza, agrandare Cesena, fontana in
piaza, duchessa, corte a Cesena, fare el porto Cesenatico et finalmente
farse re de Toschana et poi imperator de Roma con castello santo
Angello”. Un’Italia unita sotto Cesare Borgia avrebbe dato un bello
scossone alla geopolitica del tempo, ma la morte di Rodrigo Borgia è
stata la sliding door che l’ha evitata.
Il dominio spagnolo su
gran parte delle penisola sedò ogni ulteriore tentativo di italianità.
Tralasciando la folcloristica Disfida di Barletta, bisognò attendere le
guerre napoleoniche per avere un nuovo paladino della nazione e una
battaglia turning point. Gioacchino Murat re di Napoli e cognato di
Napoleone, un progetto di unificazione raffazzonato e vago ma con tanto
di proclama agli Italiani letto pubblicamente a Rimini. Si combatté una
sanguinosa battaglia a Tolentino, che vide però la netta vittoria degli
austriaci. Un’altra sliding door chiusa.
Fu solo con il
Risorgimento di Vittorio Emanuele II, Cavour, Garibaldi e Mazzini che la
porta fu finalmente tenuta aperta e si ebbe l’Italia unita.
Le
prime cocenti sconfitte militari del Regno d’Italia furono il motivo per
cui il nostro Paese perse per sempre la possibilità di essere una
potenza militare rispettata e temuta e si dovette poi accontentare di
ruoli subalterni in politica estera. La battaglia di Custoza del 1866 e
quella navale di Lissa, pur combattute in netta superiorità numerica,
sancirono l’incapacità italiana di fare la guerra. Il disastro coloniale
di Adua, del 1896, ne fu solo l’inevitabile epilogo. Da quel momento,
il cosiddetto “mondo civilizzato” ci ha sempre guardato quantomeno con
malcelato disprezzo. Ed è nata la storiella che gli italiani non sanno
fare la guerra perché troppo occupati a far l’amore, mangiare pizza e
pasta, giocare a calcio e fare casino.