Il Fatto 2.10.17
Ma non tutti sono come Renzi
di Antonio Padellaro
Sulla
sinistra (ancora) possibile, Tomaso Montanari riesce a dire e a
scrivere cose che restituiscono speranza. Poi però esiste la dura realtà
quotidiana che la buona politica può certo trasformare, non prima però
di aver compreso. Mi limito al dato citato a proposito del Referendum
costituzionale: pur avendo la riforma imposta da Matteo Renzi
“straperso” nel Paese, l’85% dei votanti Pd ha scelto il Sì.
Dunque
la domanda è: assodato che per tutte le ragioni esposte da Montanari il
renzismo è il degno erede del berlusconismo, come mai pur avendo perso
per strada larghe fette di consenso quel Pd continua a ricevere i voti
di tanti milioni di italiani? Eredi del berlusconismo anch’essi? Tutti
democristiani di ritorno? Tutti che, come le famose scimmiette,
preferiscono non vedere e non sentire pur di continuare a subire gli
effetti delle diseguaglianze e della distruzione progressiva della cosa
pubblica? Come cronista del Corriere della Sera, poi come direttore
dell’Unità ho conosciuto quel mondo: anche se qualche anno è trascorso
sono convinto che, al di là di un ceto politico spesso impresentabile,
nella base di iscritti ed elettori esso resti una realtà largamente
ancorata ai valori fondanti della sinistra. Paradossalmente anche a
quelli che il renzismo non ha fatto altro che rinnegare. Allora perché
diavolo restano nel Pd invece di procedere a quella “scelta di campo”
che nel loro stesso interesse sembrerebbe inevitabile? Non lo fanno,
caro Montanari, perché non si fidano. Né dei Cinque Stelle, per molte
delle ragioni su cui sicuramente concordiamo. Ma neppure intendono dare
ascolto a coloro che a nome della sinistra dicono di parlare dando
tuttavia di quella stessa sinistra un’immagine fumosa, rissosa e alla
fine politicamente ininfluente. E allora, in mancanza di meglio prendono
quello che c’è. “Parlare all’altra metà del Paese con un linguaggio
nuovo e radicale” è un progetto entusiasmante a cui auguro di cuore le
migliori fortune.
Nel frattempo, per affrontare quella dura realtà
quotidiana sempre più stretta tra il ritorno della destra e l’incognita
pentastellata suggerirei di compattare “quello che c’è”. Magari
dialogando con chi nel Pd pensa di rappresentare molte delle cose di
sinistra di cui tu parli, per nulla rassegnato a lasciare le cose come
stanno.
Non provarci, considerare il Pd un partito perduto alla
causa, significa fare soltanto il gioco di Renzi. Ne vale davvero la
pena?