Il Fatto 2.10.17
I profughi assistono i malati psichici
di Chiara Daina
Una
pillola non salva mai nessuno dai mostri. Quello che conta di più nel
percorso di recupero di una persona affetta da disturbi mentali è la
relazione, con gli altri e con se stessi. Da tre anni a Trento funziona
un modello di convivenza unico nel suo genere tra malati psichiatrici e
profughi voluto dal Comune e dal Servizio di salute mentale. I numeri
fanno ben sperare: 72 persone coinvolte nel 2015 tra accolti e
accoglienti e 135 nel 2016.
Lo scopo è duplice: dare un tetto e un
lavoro agli immigrati e garantire accoglienza e assistenza a pazienti
difficili. Lo straniero non è che deve diventare un badante, può
spendere soltanto qualche ora alla settimana con il paziente oppure
abitarci assieme ma continuando a mantenere i suoi spazi di libertà.
Deve seguire un corso di formazione di 60 ore e un tirocinio di due
mesi. E il compenso che riceve varia dai 250 ai 750 euro al mese. L’asl
alla fine ci risparmia: il costo del paziente all’anno si riduce a 8mila
euro contro i 48mila della comunità e i 125mila del ricovero in
ospedale.