Il Fatto 27.10.17
Il maiale perso in cielo e altre storie. La bibbia definitiva dei Pink Floyd
“Their Mortail Remains”, lo spin off su carta della mostra al Victoria & Albert Musem
di Andrea Scanzi
“Non
c’è niente che equivalga all’esperienza di un evento musicale, dal
vivo, in uno spazio con migliaia di altre persone. Niente gli si
avvicina. Il pubblico si aspetta di vedere qualcosa di mai visto prima.
Si aspetta di essere stupito”. Lo ha detto Sean Evans, ed è una delle
tante frasi che stanno dentro il meraviglioso Pink Floyd – Their Mortail
Remains (Skyra, pp 320, 55 euro). È l’unico libro autorizzato per i 50
anni dalla loro nascita. In Italia uscirà il 9 novembre e ha tutti i
crismi del libro – se non definitivo – quantomeno irrinunciabile. C’è la
prefazione di Aubrey Powell, la mente – con Storm Thorgerson – che ha
creato alcune tra le più belle copertine degli album tra il 1967 e il
1982. Ci sono dei saggi, importanti e ingombranti, belli anche se con
qualche sbrodolata intellettualoide di troppo, a firma Joe Boyd, Rob
Young, Jon Savage, Howard Goodall, Victoria Broackes e Anna Landreth
Strong.
Non mancano foto preziose, e del resto il volume è la
traduzione del testo in inglese realizzato per la mostra appena conclusa
al Victoria & Albert Musem di Londra. E c’è poi un’analisi,
abbastanza accurata, di ogni disco. Gli iper-pinkfloydiani troveranno
quasi tutte cose (a loro) note, ma le primizie non mancano. Il libro
insiste molto sulla visionarietà della band e sulla loro esigenza di
riempire i suoni con immagini ed effetti scenici al tempo inconcepibili.
Ciò portò il gruppo a scomparire dietro e dentro la loro musica, al
punto tale che quando Roger Waters intraprese la carriera solista
affrontò delle difficoltà enormi, anche perché in pochi conoscevano il
suo nome e – più ancora – il suo volto.
Lo stesso Waters, che
fondò i Pink Floyd con il diamante pazzo Syd Barrett, ha detto sei mesi
fa a questo giornale – e a chi scrive – che oggi non c’è poi molto da
dire sui Pink Floyd: “È una pop band di cui ho fatto parte per una
quindicina d’anni”. Una “pop band”: l’ha definita proprio così, come se
avesse militato nei Dik Dik.
Ovviamente era il primo a sapere di
asserire una castroneria, infatti – come David Gilmour – larga parte dei
suoi concerti è zeppa di brani appartenenti al repertorio Pink Floyd.
Un repertorio lontano nel tempo ma vicinissimo nelle emozioni, infatti
ogni loro data è sold out. Comprese le sei tappe italiane di Waters ad
aprile 2018 (2 Milano e 4 Bologna). I Pink Floyd hanno partorito
capolavori che verranno ascoltati anche nei secoli futuri, non meno di
Mozart e Beethoven. Sono stati, al loro massimo, un tutt’uno in grado di
generare bellezza inaudita.
Tutto questo, nel libro, si rivive.
Ci si commuove. E ogni tanto – mai troppo – ci si diverte pure. Per
esempio quando si (ri)scopre che la copertina di Animals col maiale
volante richiese grandi sforzi. Il primo giorno il maiale (“Algie”) non
si alzò, perché non c’era vento. Il secondo si alzò troppo, ruppe le
funi, bloccò l’aeroporto di Heathrow e fu trovato a tarda sera da un
contadino del Kent nel suo orto, incazzato nero perché “quel coso rosa”
stava terrorizzando i suoi animali. Il terzo giorno pagarono un
cecchino, pronto a sparare ad Algie qualora si fosse di nuovo liberata
(“Algie” è femmina). Lei non si liberò e fu fotografata come il gruppo
desiderava, però lo scatto non funzionava: il cielo era troppo azzurro.
Serviva un cielo fosco, come le parole del disco. Così “photoshopparono”
– allora non si diceva così – il cielo cupo del primo giorno col maiale
volante del terzo. Funzionò. E fu solo uno dei mille abracadabra di una
band irripetibile.