Il Fatto 26.10.17
Amalia, l’antropologa al servizio della Carta
Signorelli e l’impegno civile tra ironia e semplicità che ne avevano fatto una figura di riferimento del referendum
Romana verace – Nata nel 1934, si è occupata dei processi di modernizzazione e del cambiamento culturale nell’Italia meridionale
di Antonello Caporale
“Finché
regge questo cuore io vado”. Una tv, un dibattito pubblico, un mezzo
comizio, una riunione accademica. Qualunque cosa fosse, lei diceva di
sì. Amalia Signorelli ha conosciuto nella sua terza età una giovinezza e
una passione che la trascinavano ovunque. E l’antropologia, proprio
grazie ad Amalia, è divenuta una scienza meno misteriosa, e la politica,
sempre grazie alla Signorelli, si è accorta che le argomentazioni,
quando sono lucide, logiche, ficcanti, hanno il premio dell’ascolto.
Perciò era spesso ospite della tv.
E quella sua voglia, la
capacità di dire pane al pane, di esercitarsi in un eloquio popolare ma
non banale, di trasmettere passione nelle cose che diceva e per come le
diceva, l’avevano già trascinata sul ring della scrittura.
“Professoressa, un blog è come una finestra sul mondo. Lei scrive quel
che le pare, come le pare e quando le pare”. La collaborazione col
fattoquotidiano.it era intensa e proficua, tanto che la docente, da
pensionata-casalinga, si trasformò presto in blogger d’attacco e
nell’ultimo periodo in rubrichista di Millennium, il nostro mensile. E
le sue parole, prima scritte, sono divenute pietre preziose per i
conduttori di talk show sempre in cerca di personaggi nuovi, volti
sconosciuti ma pensieri intelligenti da ospitare.
“Ma con questo
caldo che ci fa a Roma?”, le ho chiesto l’ultima volta che ci siamo
sentiti, in estate, quando la Capitale ardeva e lei, cardiopatica,
soffriva ancora di più. “Purtroppo non posso lasciare Roma, il mio cuore
fa le bizze e non sono in condizione di spostarmi”.
Ieri ci ha lasciati.
Signorelli
era una donna minuta ma colta, con un sorriso aperto e compiaciuto,
pronta allo sberleffo come pure al giudizio più meditato e approfondito,
sempre disponibile al confronto e pure alla polemica. Era stata
discepola del grande etnologo Ernesto De Martino. Ordinaria a Napoli, a
Urbino e infine a Roma, aveva lavorato e insegnato a Parigi (École Haute
Etudes de Sciences Sociales) e all’università metropolitana di Città
del Messico. I suoi studi più approfonditi sono sul tarantismo in
Puglia, dentro la cornice ampia della ricerca sulle culture popolari.
Oppositrice
non di principio, ferma nelle sue idee (scelse come titolo della sua
rubrica su Millennium “Non concilio”), battagliera, simpaticamente
testarda nelle sue convinzioni, ha dato il meglio di sé e ottenuto una
popolarità che durante la quarantennale carriera universitaria non aveva
mai provato. Ferocemente antirenziana (“non lo sopporto proprio”), si è
impegnata allo spasimo durante la campagna referendaria per il no alla
riforma costituzionale. Ovunque la chiamassero, se la salute un po’ lo
consentiva, correva. Una mia amica mi chiese di agevolarle il contatto:
l’avrebbe voluta invitare a Matera. Ero certo che non avrebbe accettato.
“E invece, sai, ha detto sì”.
Appena la salute glielo avrebbe permesso, aveva promesso.