Il Fatto 25.10.17
Xi, l’uomo che volle farsi Mao ha un solo nemico: The Donald
Il pensiero del leader inserito nella Costituzione: asse con Europa e Putin, rapporti freddi con gli Usa
di Giampiero Gramaglia
Il
“sol dell’avvenir” è sempre più radioso all’Est: il popolo e la nazione
cinesi “hanno davanti a sé un luminoso futuro”, dice Xi Jinping,
confermatissimo segretario generale del Partito comunista cinese, e
presidente della Repubblica popolare, chiudendo i lavori del XIX
Congresso. E aggiunge: “In questo grande momento, ci sentiamo più
fiduciosi e orgogliosi e, allo stesso tempo, avvertiamo un forte senso
di responsabilità”.
Lui, personalmente, ne ha ben donde: il suo
pensiero è ormai inserito nella Costituzione cinese, accanto a quelli di
Mao Tse-tung e di Deng Xiao-ping: tre pietre miliari nel cammino della
Cina dopo la Seconda Guerra Mondiale, prima comunista e collettivista,
tra libretto rosso e cento fiori; poi nel 1978 aperta alle quattro
modernizzazioni e prammatica, “Non importa se un gatto è bianco o nero,
finché cattura i topi”; ora pronta non solo a inserirsi nella
globalizzazione ma a sfruttarla.
Lasciando i cinesi liberi di
coltivare il proprio sogno, che non è la democrazia o la libertà
d’espressione, ma il benessere e la ricchezza. Sgomitando fra di loro e
nel Mondo. Forte e solido all’interno, ragionevolmente sicuro di restare
al potere fino al prossimo Congresso, nel 2022. Xi deve ora prendere le
misure ai suoi interlocutori internazionali. Ma il leader cinese s’è
già portato avanti, con la Russia, l’Europa, gli Usa, mentre l’Africa è
un terreno di conquista economico e commerciale e il Medio Oriente un
ginepraio in cui lasciare avventurarsi Mosca e Washington, se proprio ci
tengono – senza però rinunciare all’asse con Teheran -.
Con
Vladimir Putin, Xi ha apparentemente ben poco in comune di personale: se
non ne condivide gli atteggiamenti muscolari, pratica, però, un
decisionismo ‘in salsa cinese’, cioè con sfumature di saggezza
orientale.
E Russia e Cina hanno interessi paralleli, strategici,
economici, energetici, specie davanti alla minacciosa imprevedibilità
dell’interlocutore americano di questi tempi. Con l’Europa di Angela
Merkel e, ora, del presidente Emmanuel Macron, il feeling è grande, se
si chiude un occhio sulle libertà fondamentali e sui diritti dell’uomo:
la Cina di Xi è, con l’Ue, paladina della tutela dell’ambiente e della
lotta contro i cambiamenti climatici e pure della libertà degli scambi:
un paradosso, innescato dall’atteggiamento statunitense: pechino occupa
gli spazi che Washington abbandona. E, infatti, con l’America di Donald
Trump, la presa di distanze e il colpo di freno è stato immediato: a Xi,
non è ancora andato giù il dolce, servitogli a cena in Florida a marzo
dal magnate presidente, insieme al bombardamento a sorpresa della Siria.
Da quando Trump s’è insediato alla Casa Bianca, l’impressione è che Xi
stia seduto sulla riva del fiume della storia ad aspettare che passi il
cadavere del nemico. La Cina ha 3000 anni di storia e tempi più lunghi
d’un mandato presidenziale Usa; e non avverte la pressione dell’opinione
pubblica, che resta relativamente silente, essendo troppo impegnata a
fare soldi.
I presupposti c’erano già tutti nel discorso fatto a
Davos, tempio della globalizzazione, in gennaio, quando Trump doveva
ancora insediarsi alla Casa Bianca, ma aveva già individuato nella Cina,
commercialmente ed economicamente, il grande nemico della sua America
“di nuovo grande”. E lì a Davos Xi s’era presentato come il nuovo
campione del libero scambio.
La nuova idea di Cina proposta al
mondo, in attesa di centrare l’obiettivo 2020 di una “società
moderatamente prospera” e quello del centenario, nel 2049, di un “Paese
sviluppato”, ‘batte in testa’ solo con i vicini di casa: con il Giappone
di Shinzo Abe, moderatamente nazionalista e bellicista, riemergono
diffidenze e rancori mai sopiti; e, in Corea del Nord, Kim il giovane,
il terzo rampollo dell’anomala dinastia comunista, è riottoso ad
ascoltare i consigli di Pechino. Con il pericolo d’innescare una guerra
sull’uscio della Cina: Xi non la vuole, ma rischia di subirla.