Il Fatto 25.10.17
Ezio Mauro
“No ad altre larghe intese, sarebbero un tradimento”
Parla
dell’Italia e racconta il suo reportage sulla Rivoluzione russa del
1917, dalla caduta dello zar alla presa del Palazzo d’Inverno
di Silvia Truzzi
Cinque
viaggi in Russia, un lungo respiro lontano dalla politica di casa
nostra (“ero avvelenato di talk show”), mesi di studio: così è nato
L’anno del ferro e del fuoco, cronache di una rivoluzione , prima
reportage giornalistico, poi libro e mini tour teatrale. Sulla scrivania
di Ezio Mauro, direttore di Repubblica per vent’anni, c’è un libro
Einaudi. La copertina è staccata, il prezzo in lire (800), le pagine
consumate dall’usura. “Andavo in giro per Mosca con Il maestro e
Margherita, il libro fondamentale della Russia”. Se gli chiedi perché,
cita una frase: “Tutto può ancora accadere perché nulla può durare in
eterno”. Un racconto pieno di “particolari e combinazioni di particolari
che fanno scoccare la scintilla” (Nabokov). Di una storia. O della
rivoluzione.
Ha scritto: “Dovunque incontravo Nikolaj II, rimandava a un arcano per l’incapacità di capire quel che accadeva intorno a lui”.
Il
potere, può capitare che sia insensibile fino all’autolesionismo. Lo
zar non si rende conto che il suo mondo sta andando in frantumi. Non si
rende conto o è prigioniero di un ruolo che sa interpretare solo in quel
modo. Non può rompere il guscio dell’autocrazia perché la deve
consegnare intatta a suo figlio, così come lui l’ha ricevuta dal padre. E
perché lì sta la sacralità, l’investitura divina, del ruolo. Non riesce
a uscirne, tanto che sembra quasi sollevato quando perde il trono. E
poi c’è la capacità di adattarsi a spazi di vita sempre più ristretti:
tiene un diario quotidiano, eppure si lamenta solo in due occasioni.
Pietrogrado brucia e lui annota: è stata una bella giornata di sole.
Il potere è sordo: anche oggi?
Ho
evitato di trovare analogie con il presente: i fatti del ’17 hanno una
dimensione unica, non si può tirarli per la giacca. Semmai ci fanno
riflettere sulla natura imperiale della Russia, un dimensione eterna,
preesistente allo stalinismo e alla corazza sovietica. Credo che gran
parte del consenso di Putin dipenda dal fatto che ha risvegliato
quest’anima imperiale, restituendo alla Russia l’orizzonte di grande
potenza. Lo sottolineo perché per noi occidentali è inspiegabile il
consenso di Putin, visti i metodi autoritari che utilizza soprattutto
con le opposizioni.
“Ho fatto il cronista di fatti di cento anni fa”. Che differenza c’è tra lo storico e il giornalista?
Lo
storico è portatore di una scienza attraverso cui analizza i fatti. Il
cronista va sul posto a verificare i segni del passato e quelli del
presente. Sono andato nei luoghi anche quando i miei amici russi mi
dicevano “è inutile, non troverai più nulla”. L’ho fatto per fiducia
nella realtà: guardare è il miglior modo per cercare di capire e poi
raccontare.
Un capitolo è dedicato agli intellettuali traditi dalla rivoluzione, dopo esserne stati in gran parte sedotti.
La
maggioranza dell’intellighènzia russa ha scelto di stare dalla parte
del popolo, ritenendo di doverlo emancipare e liberare dalle catene cui
il potere lo aveva assoggettato. Aggiungiamo il fragore quasi futurista
della rivoluzione di febbraio, l’idea di aderire a un moto di
rinnovamento che poteva attraversare la cultura, trovare un’eco nelle
arti. Si poteva, in quel momento, legittimamente pensare a un grande
cambiamento dalla parte del popolo. E poi c’è stata la disillusione che
li ha portati a prendere altre strade, alcune tragiche. Questi
intellettuali disillusi sono i primi dissidenti. Non tutti,
naturalmente: alcuni si sono piegati al conformismo che è la morte
dell’anima.
Morbo attualissimo.
Vero: non abbiamo memoria storica, non ci ricordiamo cos’è accaduto nei vent’anni precedenti, facciamo finta di dimenticarcene…
Parliamo di Berlusconi, adesso?
Non
solo. Fenomeni politici importanti sono stati ridotti a macchietta. La
Lega è stata trattata come un’orda di barbari che avrebbe purificato il
sistema. La stessa cosa, anche da parte di intellettuali progressisti,
accade oggi con il Movimento 5 Stelle. Ma è una nuova destra, con
posture mimetiche di sinistra e un’anima di destra. C’è un disprezzo
totale delle istituzioni e il tentativo di fare di ogni erba un fascio,
un tratto tipico della destra. Croce durante il fascismo parlava di
“feroce gioia contro le istituzioni”. La felicità di poter dire che è
tutto marcio, in attesa del redentore.
Mettere la fiducia sulla legge elettorale è rispetto per le istituzioni?
No.
Ho scritto che è un colpo di mano. Il governo, poi, aveva dichiarato
che voleva starne fuori. La maggioranza dimostra una scarsissima
considerazione della capacità di convincere i propri parlamentari. La
blindatura è anomala per una legge elettorale: la furbizia tecnica svela
un orizzonte impaurito.
La legislatura è stata segnata dalla
macchia della sentenza della Consulta sul Porcellum e anche
dall’incapacità di produrre, con l’Italicum, una legge costituzionale.
Non
c’è dubbio. È un segno di impotenza della politica, di distacco dai
cittadini che porta acqua al mulino dei 5Stelle: spesso basta che stiano
fermi e ricavano vantaggi dagli errori degli altri. Quando poi provano a
governare succede quel che a Roma è sotto gli occhi di tutti. Credevamo
che con Alemanno e Marino si fosse toccato il fondo, invece la città
oggi semplicemente non è governata. Però i 5Stelle sono una setta e per
loro la verifica dei fatti non ha grande importanza.
In primavera andiamo al voto: un altro governo di larghe intese con Berlusconi sarebbe un tradimento per gli elettori del Pd?
Un
tradimento delle ragioni che hanno portato alla nascita del Pd. E
soprattutto un disastro per l’Italia, perché imporrebbe al Paese una
politica minima: i due partiti sono nati per contrastarsi, con due
visioni opposte del Paese. Senza dire che Berlusconi è disinvolto, può
fare un’alleanza e poi gettarla al vento se gli conviene: è libero da
ogni vincolo ideologico ed esercita una potestà assoluta sul suo
partito. Si stanno cercando al buio, Renzi e Berlusconi: la ratio di
questo Rosatellum è quella di rendere possibile un’alleanza. Per il
Partito democratico sarebbe pesante, potrebbe avere esiti difficili da
prevedere. Forse addirittura un’altra scissione. Le larghe intese sono
miopi, ma se ci fosse un vero patto costituente nel Paese potrebbero
anche starci. Non è questo il momento, però, non sono questi gli attori.
Sarebbe un patto di potere tra perdenti.