Il Fatto 24.10.17
La sinistra Pd prova l’alleanza con Mdp sulla legge elettorale
Le modifiche chieste da Chiti&C. sono quelle dei bersaniani: voto disgiunto, più collegi, no all’indicazione del “capo”
di To. Ro.
Renzi
l’ha ignorato, una parte del Pd invece no. Domenica mattina, attraverso
Repubblica, il coordinatore di Mdp Roberto Speranza aveva chiesto al
segretario del Pd un incontro. Un primo riavvicinamento, possibile a una
condizione: mettere mano alla legge elettorale. Ovvero: introdurre le
preferenze, aumentare il numero dei collegi uninominali e inserire il
voto disgiunto.
Rosato e Renzi hanno risposto immediatamente di
no, mentre altri dirigenti del partito (Orlando, Cuperlo, Zanda e
Franceschini) hanno chiesto di tenere aperto il dialogo. E ieri,
magicamente, sono comparsi sei emendamenti alla legge elettorale che in
sostanza riprendono le richieste di Speranza e dei bersaniani. Sono
firmati da quattro senatori della sinistra del Pd (che hanno sostenuto
la mozione Orlando alle ultime primarie): Vannino Chiti, Walter Tocci,
Massimo Mucchetti e Claudio Micheloni.
Due degli emendamenti
propongono di alzare la percentuale dei seggi assegnati con i collegi
uninominali dal 36 al 50%; altri due introducono la doppia scheda per i
collegi uninominali e per la parte proporzionale (introducendo di fatto
il voto disgiunto); uno elimina la norma che obbliga i partiti a
indicare il nome del “capo politico” al momento di presentare le liste
(una richiesta arrivata anche dal presidente emerito Giorgio Napolitano,
che la ripresenterà nell’aula del Senato); un altro, infine, cancella
la possibilità dei cittadini residenti in Italia di candidarsi nelle
circoscrizioni estere (la cosiddetta “salva Verdini”). Sono modifiche
che i bersaniani avevano provato a far passare anche alla Camera. Non
c’è una regia comune, fanno sapere da entrambi gli schieramenti, ma una
naturale convergenza di interessi e vedute.
Gli stessi senatori
della sinistra Pd stamattina hanno convocato una conferenza stampa a
Palazzo Madama. Diranno che il Partito democratico, se non si apre a
sinistra, è destinato a perdere le elezioni e che la decisione di porre
la fiducia sulla legge elettorale anche al Senato è una sciagura.
“L’argomento dei voti segreti – sostiene Mucchetti – è debolissimo”. Un
altro degli anti renziani del gruppo Pd di Palazzo Madama, Ugo Sposetti,
non garantisce la sua fedeltà alla linea del partito nemmeno in caso di
fiducia: “Non ho ancora deciso, valuterò quando sarà il momento”.
L’iniziativa
di Chiti e degli altri è destinata all’insuccesso, proprio come le
richieste di Speranza, ma è il segno che qualcosa nel Pd non renziano si
sta muovendo. Come dimostra pure la rapidità con cui domenica sera
Dario Franceschini si era affrettato a twittare la sua benedizione
all’apertura di un confronto: “La proposta di @robersperanza e la
risposta di @matteorenzi ricostruiscono un filo di dialogo. Nessuno lo
spezzi o vincerà la destra”.
Sul tema ieri ha parlato anche
Massimo D’Alema: riguardo all’apertura di Speranza “molto dipenderà dal
Pd. Noi abbiamo detto che a certe condizioni, non siamo una forza
insensibile alle necessità di fare argine alla destra. Però le
condizioni poste sono chiare. Sentiremo la risposta di Renzi. Manterrei
una certa calma in queste cose, ma le prime risposte mi sembrano
abbastanza deludenti”.
In ogni caso, nel Pd è periodo di
riposizionamenti: la prossima settimana è quella delle elezioni
regionali in Sicilia. I sondaggi hanno già stabilito la sconfitta,
probabilmente ampia, di Fabrizio Micari, il candidato di Renzi e Alfano.
La minoranza dem e la sinistra antirenziana fuori dal Pd non aspettano
altro: con un segretario ulteriormente indebolito ogni discorso sulla
strategia del partito – e quindi sulle alleanze – potrebbe essere
rimesso in discussione. Nel frattempo, tra interviste ed emendamenti,
hanno ricominciato a scambiarsi qualche occhiolino.