lunedì 23 ottobre 2017

Il Fatto  23.10.17
Sul voto segreto ci fu battaglia pure nell’antica Roma
di Orazio Licandro

Il voto segreto, secondo le cronache parlamentari, è stato uno dei protagonisti dello scontro politico sull’ultimo capitolo della riforma elettorale. Dopo la ‘macellazione’ del Porcellum da parte della Corte costituzionale, con il venir meno dell’Italicum schiantato dalla bocciatura popolare delle riforme costituzionali, siamo giunti al Rosatellum. Sorvolando sul penoso uso giornalistico del latinorum, nel primo passaggio parlamentare gli oppositori della proposta invano hanno confidato appunto nel voto segreto, che non è certo una peculiarità delle democrazie postmoderne né sempre una garanzia di trasparenza. A Roma, agli esordi della giovane democrazia militare sorta con l’abbattimento della monarchia, il sistema di voto era orale. Componenti delle assemblee comiziali però non erano i rappresentanti del popolo, come nei moderni parlamenti, ma i cittadini che partecipavano direttamente alle scelte politiche, votando ad esempio le leggi ed eleggendo i magistrati; e nel votare esprimevano la propria volontà ad alta voce dinanzi al presidente e a tutti coloro che erano intorno. Tale sistema di votazione più avanti, quando la lotta politica si fece più accesa e aspra, esponeva i cittadini a pressioni e violenze fisiche e morali assai gravi. Così, nella seconda metà del II secolo a.C. numerose furono le leggi elettorali volte a introdurre il voto per tabellam, cioè scritto su schede (tabellae) e segreto. Il nuovo sistema garantiva ai votanti condizioni di maggiore ‘agibilità’ e libertà politica, non però tali da eliminare ‘influenze indebite’, che continuavano a dipendere dalla soglia etica dei protagonisti della lotta politica e dalla capacità di resistenza dei votanti.