Il Fatto 20.10.17
Lutero, una memoria controversa
di Eugenio Bernardini *
La
memoria dei 500 anni della Riforma protestante non sta passando
inosservata neppure in Italia: le pubblicazioni, i convegni accademici,
le iniziative di base, persino alcuni atti istituzionali come la dedica
di vie a Martin Lutero sono in numero sorprendente.
In Italia non
si è mai parlato così tanto della Riforma e dei suoi protagonisti,
Lutero in testa, ma soprattutto se ne è parlato meglio, non addebitando
più a questo movimento tutti i mali della società moderna – come la
Secolarizzazione, l’individualismo e il relativismo etico – ma
ricercando nuove e più positive interpretazioni.
Merito anche
della Chiesa cattolica, e di papa Francesco in particolare, che ha
assunto la “sfida” delle celebrazioni, accettando di partecipare e
contribuire attivamente a vari eventi e soprattutto deponendo la tesi
dello scisma e della divisione per confrontarsi sulle prospettive del
cammino comune anche con le chiese figlie della Riforma.
Credo che
tutto questo sia noto, ma evidentemente non condiviso da Paolo Isotta
che, il 18 ottobre su questo quotidiano, definisce Lutero e il
luteranesimo oscurantista dal punto di vista culturale e nemico
dell’arte, fino all’accusa finale di stretta parentela spirituale tra
Lutero e Hitler, tra nazismo e luteranesimo.
Ora, è comprensibile
che un fenomeno così complesso e articolato come la Riforma protestante
abbia avuto luci e ombre, così come è riconosciuto che la personalità di
Lutero sia quella tipica di un intellettuale a cavallo tra due epoche:
il medioevo e la modernità. Della prima fanno parte la sua subalternità
alla struttura sociale del tempo e i suoi scritti – terribili – contro
gli ebrei, della seconda la promozione del laicato e dello spirito
critico che si può coltivare solo con l’istruzione e l’accesso diretto
alle fonti, la distinzione tra il potere civile e quello religioso.
Ma
il giudizio complessivo sul personaggio e il movimento che ne derivò,
anche grazie al contributo di moltissimi altri protagonisti, non può che
basarsi sui frutti di quel grande rivolgimento. Il nazismo fu uno di
questi frutti? No, per niente. Hitler – cattolico che non sapeva niente
di Lutero – e il nazismo furono invece capaci di strumentalizzare gli
istinti più retrivi e le paure di un popolo in crisi e di concentrarli
su una molteplicità di capri espiatori che dovevano essere semplicemente
eliminati. La religione fu anch’essa strumentalizzata, sia quella
luterana sia quella cattolica, perché nella Germania degli Anni 30 del
Novecento il nazismo non poteva vincere senza piegare anche le
istituzioni ecclesiastiche tedesche.
Dovrebbe far riflettere il
fatto che quell’ideologia violenta e fanatica ebbe maggiore influenza in
Paesi di tradizione cattolica come l’Italia e la Spagna, già in preda a
tirannie sanguinarie (anch’esse imparentate con Lutero?), e non in
Paesi di fortissima tradizione luterana come quelli scandinavi, che la
tirannia non hanno mai conosciuto. E che dire dei martiri luterani che,
con la Bibbia in una mano e nell’altra i testi luterani sull’unica
signoria di Dio (e quindi opponendosi all’idolatria del führer),
militarono nelle file antinaziste o furono trucidati nei campi di
concentramento? Come il teologo Dietrich Bonhoeffer, per fare il nome
più noto.
Insomma, ripetere oggi i luoghi comuni della polemica
antiluterana di un tempo non ci aiuta a comprendere i fenomeni complessi
del passato e neppure ci aiuta a interpretare i fenomeni ben più
complessi, e dal forte e imprevisto contenuto religioso, che
attraversano oggi le nostre società occidentali.