Repubblica 20.10.17
Nuova Zelanda.
Giovane, ex dj e ultra-liberal: così la candidata laburista ha conquistato il governo
Effetto Jacinda la premier di sinistra che strega l’Oceania
Enrico Franceschini
LONDRA.
L’idea che una sinistra radicale entusiasmi ma non vinca, stile Bernie
Sanders negli Usa o Jeremy Corbyn in Gran Bretagna, trova una smentita
dall’altra parte del mondo: dall’altra parte, perlomeno, rispetto al
nostro mondo eurocentrico. Da ieri la Nuova Zelanda ha un primo ministro
donna (la terza della sua storia), trentasettenne (il più giovane
dell’ultimo secolo e mezzo) e apertamente progressista, che promette di
mettere fine alla povertà infantile, costruire case popolari, dare
istruzione gratuita (e perfino un salario garantito) agli studenti,
ovvero creare «un Paese più giusto e migliore per tutti».
Tre mesi
fa nessuno scommetteva un soldo su Jacinda Ardern: lei stessa, deputata
da neanche un decennio e vice capo del Labour, storico partito
neozelandese da tempo digiuno del potere, aspirava al massimo a
diventare ministro dell’Infanzia e a farsi a sua volta una famiglia (per
adesso si accontenta di avere un gatto insieme al fidanzato, aitante
presentatore televisivo e surfista). Tanto che quando le hanno proposto
di candidarsi a premier ha rifiutato per ben sette volte. Adesso dal suo
nome è stato coniato un termine: “Jacindamania”, la passione scatenata
che ha portato tanti a votarla e dopo le elezioni ha convinto i verdi e
altri partiti minori a sostenerla per formare una maggioranza (seppure
esigua: 64 seggi su 120) e un governo.
«Le vittorie di Trump e
della Brexit dimostrano che esiste una diffusa insicurezza economica»,
afferma la neo-premier, «a cui i leader politici devono rispondere con
piani concreti per garantire un futuro ai lavoratori e ai giovani di
fronte alla globalizzazione e all’automazione. In giro c’è una legittima
paura e dobbiamo fare qualcosa per affrontarla». Parole giuste per fare
breccia nell’elettorato, ma dietro il suo successo ci sono anche la
spontaneità, il calore umano e la simpatia di un volto nuovo. Gli
avversari all’inizio non la prendevano sul serio, poi la sua candidatura
ha prodotto un balzo del 19 per cento nei sondaggi e la situazione è
cambiata. Laburista da quando aveva 17 anni, Ardern fece la sua prima
campagna elettorale come volontaria nello staff di Tony Blair in
Inghilterra: forse ha imparato qualcosa da lui, ma non ne ha imitato la
linea politica riformista. Cresciuta dai genitori secondo la religione
mormone, l’ha lasciata per le posizioni anti-omosessuali di quella
chiesa: ora si definisce agnostica. Si diverte a fare la dj nel tempo
libero, ma gliene resterà poco. In Nuova Zelanda la paragonano già a
stelle della politica internazionale “liberal” come Barack Obama e
Justin Trudeau.
«Fallo per tutti noi», l’ha incitata Corbyn da
Londra alla vigilia del voto. Jacinda Ardern l’ha fatto, vincendo e
diventando primo ministro con un messaggio, sia pure un po’ “nebuloso”
come lo definisce il Guardian, di speranza e di cambiamento. A chi le
chiede se le pare di avere ricevuto la torcia da Sanders e Corbyn,
leader di una generazione più anziana, risponde: «Entrambi hanno fatto
cose straordinarie e io posso essere soltanto me stessa. Ma non mi
dispiace fare la portabandiera dei movimenti progressisti di tutto il
mondo». L’effetto domino per la sinistra verrà dalla terra degli All
Blacks di rugby?