Il Fatto 19.10.17
Il sacrificio dei Peshmerga e la faida curda
Kurdistan. La cacciata da Kirkuk da parte delle milizie sciite dovuta alle spaccature tra i secessionisti
Il sacrificio dei Peshmerga e la faida curda
di Roberta Zunini
Dopo
la chiusura dello spazio aereo e delle frontiere del Kurdistan iracheno
imposto da Baghdad, è apparso del tutto evidente il paradosso di questa
regione. Nonostante la ricchezza di questa terra zeppa di petrolio e
gas, dove si arriva a pagare 300 mila dollari per un numero telefonico
vip e, ancora di più, per una targa personalizzata e dorata
dell’automobile, la disparità tra ricchi e poveri continua a aumentare,
assieme alla corruzione. Inoltre le divisioni tra i Barzani e i Talabani
– le due famiglie che, attraverso la finzione dei rispettivi partiti
(Pdk e Puk), da decenni governano e controllano la regione, spartendosi i
proventi di gas e petrolio – era ormai arrivata a un punto di rottura.
La
vedova di Jalal Talabani, il leggendario leader curdo appena deceduto
in Germania dopo una lunga agonia, aveva deciso con i figli di
sconfessare il risultato del referendum a favore dell’indipendenza del
25 settembre, voluto dal rivale Masud Barzani (presidente a interim
della Regione) accettando i desiderata del governo centrale iracheno,
leggasi della Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei. Che
controlla il presidente iracheno Abadi.
Dalla sua roccaforte di
Sulemanyyah, la vedova e i suoi rampolli hanno intimato ai peshmerga del
Puk di non combattere e di lasciare Kirkuk, la città contesa più ricca e
perciò importante, che aveva aderito al referendum nonostante il parere
contrario della comunità internazionale. Così Kirkuk è stata presa in
poche ore dall’esercito iracheno la cui spina dorsale è costituita dalle
milizie sciite, costola dei Pasdaran iraniani, Ashd al Shaabi. Il
problema è che il presidente Barzani, ringalluzzito dalle parole di
Trump contro il terrorismo dei pasdaran iraniani e contro l’accordo sul
nucleare voluto da Obama, non accetterà che Ashd al Shaabi si attesti
anche in altre zone contese. Tra cui quella vicina a Mosul e Sinjiar
dove anche la Turchia non vede l’ora che gli iracheno-iraniani entrino
per poter raggiungerli e combattere al loro fianco.
Insomma tutti
contro Barzani, colui che ha voluto a ogni costo il referendum, per aver
osato sfidare dalla sua piccola ma preziosa Regione tutte le potenze in
gioco, alleati americani compresi.
Se i peshmerga si dovessero
riunire, eventualità piuttosto remota, per combattere contro le milizie
sciite, già autrici di pulizie etniche durante le offensive per liberare
dall’Isis città e province come Ramadi, per combattere, non avrebbero
comunque alcuna chance di vittoria, essendo mal equipaggiati. È escluso
che Kirkuk e Sinjiar possano essere riconquistate dai peshmerga. “Ciò
che è successo è un’altra Anfal contro i curdi”, ha dichiarato il
vicepresidente del Kurdistan iracheno e numero 2 dell’Unione patriottica
del Kurdistan (Puk) Kosrat Rasul Ali, accusando chi, nel suo partito,
ha ordinato il ritiro dei peshmerga da Kirkuk.
Il riferimento è
alla famigerata “campagna Anfal” del 1988-89, quando Hassan al-Majid,
detto “Alì il Chimico”, cugino di Saddam, ordinò lo sterminio con gas
nervino della popolazione inerme nel nord dell’Iraq, causando la morte
di circa centomila curdi. “Quello che davvero brucia la ferita è che
alcuni apostati hanno abbandonato la dottrina del Puk e sono diventati
aiutanti degli invasori per ottenere vantaggi personali. Con questo atto
disgustoso, hanno portato loro stessi nelle pagine nere della storia
della nostra nazione”, ha aggiunto Ali. Il vicepresidente curdo ha poi
ricordato che “la nazione del Kurdistan ha affrontato per tre anni il
gruppo terroristico più barbaro e messo fine ai loro complotti
disgustosi ai danni dell’umanità pacifica. I traditori del Puk devono
rispondere di tutto quello che sta accadendo a Kirkuk e Duz, la perdita
di vite umane e danni materiali. Credo che siamo alla fine”, ha aggiunto
Ali, sostenendo però che il Kurdistan ha già subito numerosi duri colpi
e rialzarsi “non sarà difficile”.
Intanto il ministro iracheno
del Petrolio, Jabar al-Luaibi, ha chiesto alla multinazionale Bp di
“pianificare rapidamente i progetti per sviluppare i campi petroliferi
di Kirkuk”.