Il Fatto 18.10.17
Raqqa è presa, curdi felici solo a metà
Il Califfato - L’Isis perde la “capitale” ma chi ha vinto la battaglia per l’Iraq è sempre un nemico
Raqqa è presa, curdi felici solo a metà
di Giampiero Gramaglia
Raqqa
è caduta, Raqqa è libera: dopo Mosul, la capitale irachena, l’Isis,
perde pure la capitale siriana. Ma il cubo di Rubik mediorientale è
lungi dall’essere risolto. I curdi, protagonisti della battaglia di
Raqqa, s’attendono d’essere ricompensati dagli Stati Uniti e – divisi
fra di loro – sognano l’indipendenza; ma si ritrovano sotto attacco in
Iraq.
I miliziani integralisti, foreign fighters e guerrieri
locali, non hanno più un territorio da difendere, ma restano capaci di
azioni terroristiche. E le scelte contraddittorie del presidente Trump,
che lusinga le monarchie sunnite, dove i jihadisti hanno appoggi e da
dove traggono finanziamenti, e contrasta l’Iran, in prima linea in Iraq e
con i suoi alleati in Siria contro l’Isis, non favoriscono una
composizione pacifica dello scacchiere. L’assalto finale a Raqqa era
partito sabato scorso. La presa è stata ieri annunciata dalle Sdf, le
Forze democratiche siriane, a predominanza curda, sostenute dalla
Coalizione internazionale a guida Usa. Fonti umanitarie parlano di
tremila caduti a Raqqa in un anno.
Le milizie curde hanno issato
la propria bandiera all’interno dello stadio, ultimo bastione dell’Isis,
mentre ancora tutto intorno proseguivano sporadici combattimenti.
Tremila civili, ma anche centinaia di jihadisti – in merito, le
informazioni sono contrastanti – erano stati evacuati da Raqqa domenica,
dopo un accordo raggiunto tra le Sdf e lo Stato islamico con la
mediazione di capi tribali locali. L’intesa non è stata avallata dagli
Stati Uniti e dagli alleati occidentali: in Europa, c’è preoccupazione
per l’onda d’urto del ritorno dei foreign fighters. Lanciata l’azione
finale, i miliziani dell’Isis rimasti a resistere, fra cui numerosi
foreign fighters – qui c’erano i cervelli degli attentati a Parigi nel
novembre 2015 – s’erano asserragliati in un’area molto ristretta del
centro cittadino, praticamente distrutto. Ieri mattina, i curdi avevano
conquistato piazza al Naim, tragicamente celebre perché teatro delle
esecuzioni pubbliche dei boia integralisti, e erano poi andati
all’attacco dello stadio, divenuto luogo di detenzioni e uccisioni.
Ma
proprio in parallelo alla battaglia di Raqqa, più a Est, in Iraq, le
forze irachene stanno svolgendo un’offensiva per impadronirsi della
città di Kirkuk, centro petrolifero nevralgico in mano ai curdi. È la
risposta al referendum per l’indipendenza svoltosi a fine settembre nel
Kurdistan iracheno, che già gode di larga autonomia. L’esercito iracheno
e le forze curde sono tutti armati ed equipaggiati da americani e
occidentali.
Le forze irachene stanno inanellando successi,
profittando della rotta dell’Isis: controllano ormai Hawija, 65
chilometri a sud-ovest di Kirkuk, una ridotta dei miliziani, e Tal Afar,
nel nord, roccaforte dell’Isis nella provincia di Ninive. In Siria,
muovono contro l’Isis i lealisti a Dayr az Zor e i qaedisti ad Hama. Il
Califfato si sgretola, anche se ciò non significa la fine della jihad.
Lo
scontro in atto tra curdi e iracheni in Iraq; i fermenti fra i curdi di
Siria, che sognano anch’essi d’uno Stato curdo; l’ostilità ai curdi dei
governi centrali di Damasco e Baghdad e, ancora di più, Ankara e
Teheran; tutto ciò complica il quadro della regione, ulteriormente liso
dal deterioramento dei rapporti tra Usa e Iran. E mentre Washington deve
gestire un dissidio armato fra suoi alleati, altri suoi alleati, i
sauditi e i turchi, fanno shopping d’armi a Mosca, mentre, in funzione
anti-curda, si parlano persino Teheran e Ankara.