Il Fatto 19.10.17
Gli abusi sono gravi anche nel dorato mondo del cinema
di Silvia Truzzi
Il
caso Weinstein ha aperto diversi vasi di Pandora con relative, nefaste,
conseguenze. Ormai non c’è giorno che qualche attrice non riveli
passati episodi di molestia, più o meno gravi, sui quali noi non
vogliamo dubitare, che hanno però sull’opinione pubblica effetti
diversi. Abbiamo già scritto che stupratori e vittime, ricattatori e
ricattati non stanno sullo stesso piano: è un punto fermo da cui bisogna
necessariamente partire. E non è credibile (nonostante le sguaiate
esternazioni di qualche signora inspiegabilmente assurta al ruolo di
opinion maker) che ci siano donne disposte ad affermare che dopotutto
una palpata (peggio, uno stupro) cosa vuoi che sia, o a sostenere
l’insopportabile “se la sarà cercata”. A nessuna fa piacere essere
molestata. Eppure questo specifico caso hollywoodiano irrita la gente:
la ragione sta probabilmente nella percezione di quel mondo come di un
luogo privilegiato, esclusivo, un circolo di cui tutti vorrebbero far
parte perché girano tanti soldi e perché per molti la fama è una meta.
Quanto al fatto che irrita forse soprattutto le donne, ha detto bene
Palazzeschi: “Povere donne, non sarà mai un’altra femmina a fare
l’elogio del vostro genere”. Si dice sempre che le aspiranti attrici (ma
anche gli aspiranti attori) farebbero carte false per avere successo.
Tradotto: sono disposti a tutto. Quindi non scopriamo l’acqua calda.
“Sono andata a letto con i produttori: sarei una bugiarda se dicessi il
contrario. Se non ci fossi andata, c’erano altre 25 ragazze pronte a
farlo al posto mio”. Lo ha detto una volta Marilyn Monroe, la diva più
diva della storia, magnifica e disperatamente infelice, morta suicida,
sola e giovanissima. Qui dovremmo interrogarci sul perché anche oggi –
con possibilità di realizzazione personale infinitamente superiori a
quelle del 1950 – la maggioranza delle adolescenti non vuol diventare
manager, giudice o scrittrice, ma sogna di entrare nella casa del Grande
Fratello come trampolino di lancio verso la notorietà. Questa però è
un’altra storia.
La questione è semplice: il contesto condiziona
il giudizio. Una stupenda signora che conosciamo, oggi settantenne, ha
lavorato tutta la vita in fabbrica con le mani perennemente addosso del
capo reparto e vari dirigenti della sua azienda. L’ha salvata il fatto
che il marito lavorasse nella stessa fabbrica: qualcuno è disposto a non
essere solidale con lei? Le molestie restano tali, alla linea e sul
divano del produttore. Asia Argento ha risposto alle domande di un
giornalista che ha fatto un’inchiesta. Il contenuto delle sue denunce
non cambia perché non è simpatica o non è una grande attrice. L’opinione
su di lei o sul suo esibizionismo non può influire sulla questione
centrale o peggio giustificare gli abusi di potere di Weinstein. Quanto
ha raccontato sull’episodio che ha subito a 16 anni è agghiacciante:
siamo pronti a linciare qualunque sconosciuto molesti una ragazzina,
però se si tratta di un’attrice, figlia d’arte, non ci scomponiamo più
di tanto. La decisione di non rendere nota l’identità dell’orco (era
poco più che una bambina, le foto lo spiegano bene) è discutibilissima. E
a poco vale la sua difesa, “in Italia c’è la prescrizione”. La
prescrizione esiste perché il passare del tempo attenua l’interesse
dello Stato ad accertare l’esistenza di un reato (alcuni sono
imprescrittibili) e bisognerebbe riflettere quando la politica inventa
marchingegni per accorciare i termini della prescrizione: non valgono
solo per i loro reati, ma per tutti. Non esiste però solo la questione
squisitamente giuridica, c’è anche la sanzione sociale, senza dire che
fare i nomi rafforza la rivelazione. Non è facile denunciare, questo è
ovvio, ma l’anonimato non dovrebbe indurci a derubricare l’intera
faccenda a una cosa di poco conto.