Il Fatto 19.10.17
“Xi il fustigatore ha in mente una nuova Cina”
Francesco Sisci - Il ricercatore all’università di Pechino: “Il leader vuole la riforma delle imprese statali”
“Xi il fustigatore ha in mente una nuova Cina”
di And. Val.
La
Cina reclama apertamente il suo ruolo di superpotenza. Prima per
popolazione nel mondo (1,4 miliardi di abitanti), seconda realtà
economica dopo gli Usa, il gigante asiatico celebra il diciannovesimo
congresso del Partito comunista, organo-Stato al centro del quale c’è
sempre la figura del presidente Xi Jinping, alla guida del Paese dal
2012: un quinquennio di riforme che ha però negato ogni forma di
dissenso e critica verso il potere.
Francesco Sisci è un esperto di Cina e ricercatore all’Università popolare di Pechino.
Chi è Xi?
Nelle
intenzioni di chi l’ha eletto, cinque anni fa, doveva essere un
burattino facilmente manipolabile dagli apparati dello Stato. Non è
andata così. Spezzando una tradizione che era arrivata fino al suo
predecessore Hu Jintao, per cui doveva diventare il terminale di una
banda di leader anziani, Xi ha accentrato tutto il potere su di sé. Lo
ha fatto per riprendersi il controllo di un sistema molto frammentato,
fatto da funzionari di partito con ampia autonomia a livello locale. Per
raggiungere l’obiettivo, si è servito di una campagna anti-corruzione,
sistematica e continuativa. In modo strumentale, certo, ma non inutile,
dato che il livello di corruzione aveva inceppato la macchina
amministrativa.
Che succederà durante questa settimana di congresso?
In
primo luogo, Xi vorrà piazzare i suoi uomini. I nomi li sapremo alla
fine, comunque il leader cinese ha già, tra le altre cose, messo sotto
processo un milione e mezzo di funzionari. Entro il 25 ottobre saranno
nominati circa 350 membri del Comitato centrale, 25 del Politburo e 7
del Comitato Permanente: la piramide ascendente del potere.
I suoi uomini, certo. Ma per fare cosa?
La
proposta chiave è la riforma delle imprese di Stato, che rappresentano
oggi il 70% dell’economia della Repubblica Popolare, ma sostengono solo
il 30% del Pil. Idealmente Xi vorrebbe riformare seguendo il modello
delle public companies adottato in economie come quella tedesca o
giapponese. Le resistenze dei burocrati sono molte e non sarà facile.
A questo punto, possiamo dire che è lui il politico più potente del mondo, come suggerisce l’Economist?
L’economia
cinese è ancora lontana da quella americana, ma Xi ha più poteri di
Trump. Noi occidentali siamo vittime di una distorsione: sappiamo tutto
di primarie, elezioni e dinamiche politiche degli Stati Uniti, mentre
quasi ci disinteressiamo di quanto avviene nei palazzi del potere di
Pechino. Certo, la politica cinese è opaca, il contrario della
spettacolarizzazione operata da Washington. Ma dovremmo essere proprio
noi, opinione pubblica europea, a forzarli alla trasparenza.
Non
sembra facile, in una realtà monopartitica che censura il web come
veicolo del dissenso. Detto questo, il congresso dei comunisti di
Pechino sembra qualcosa di remoto. Perché, invece, ci riguarda?
Se
il leader cinese decide che si mangia solo maiale, il prezzo anche da
noi salirà. Se i cinesi usano meno petrolio, il prezzo scenderà a
livello globale. In questo senso ha ragione l’Economist: Xi non ha
potere solo sulla Cina, ma su tutto il mondo.
Dove va la Cina?
Il
suo interesse principale a livello strategico si chiama ‘Nuova Via
della Seta’. Dal Rinascimento in poi, dopo la caduta di Costantinopoli
in mano ai turchi (1453), tutto il commercio si è spostato sulla rotta
atlantica, dando centralità all’America. Adesso da Pechino a Venezia,
Berlino, Parigi e Londra non ci sono più ostacoli e Xi ha capito: meglio
il giro corto, senza passare per gli Usa.