Il Fatto 14.10.17
I dilemmi di Grasso, ma in Senato il rischio è il numero legale
L’ex magistrato ancora non commenta l’ipotesi fiducia A Palazzo Madama, però, potrebbero servire i voti di B.
I dilemmi di Grasso, ma in Senato il rischio è il numero legale
di Gianluca Roselli
Il
giorno che questa maggioranza spuria in perfetto Nazareno style ha
segnato con un cerchietto rosso sul calendario è martedì 24 ottobre: per
quella data Renzi, Gentiloni, Berlusconi, Salvini, Alfano e Verdini
vogliono veder approvata la legge elettorale anche in Senato. Il testo
martedì prossimo arriverà in commissione Affari costituzionali, per poi
approdare in aula dopo una settimana. La domanda che rimbalza da
Montecitorio a Palazzo Madama è: in Senato le cose andranno
diversamente? Sarà posta la fiducia come alla Camera? Per evitare il
voto segreto no, visto che in Senato non è previsto.
La fiducia,
però, qui tornerebbe utile per accorciare i tempi e spazzare via gli
emendamenti delle opposizioni. Matteo Renzi, si sa, vuole chiudere la
partita velocemente, prima del voto siciliano del 5 novembre. E prima
della sessione di Bilancio. Ma se la fiducia verrà posta, Pietro Grasso
potrebbe tenere un atteggiamento diverso rispetto a quello di Laura
Boldrini? Da Palazzo Madama arrivano parole improntate all’estrema
cautela. “Il presidente reputa che siamo ancora solo a ricostruzioni
giornalistiche, quindi per ora nessun commento sui tempi e nemmeno sulla
fiducia” fanno sapere. Qualcuno, però, da sinistra guarda a Grasso con
un filo di speranza, specialmente da Mdp, partito con cui l’ex
magistrato negli ultimi tempi ha dimostrato di avere un ottimo feeling,
partecipando, ricoperto da applausi, anche alla festa di Napoli.
Difficile, però, che il presidente del Senato possa non diciamo opporsi,
ma nemmeno criticare l’eventuale richiesta del governo, anche perché
qui i poteri del presidente sono anche più limitati rispetto a
Montecitorio.
Oltretutto anche ammettendo che a Grasso la fiducia
sulla legge elettorale non piaccia, sull’ex magistrato potrebbe pesare
il fatto che su questo aspetto non avrebbe nemmeno la copertura politica
di Sergio Mattarella, che ha posto la riforma del sistema di voto come
priorità assoluta. Insomma, la strada per mettersi di traverso, anche
solo a livello di moral suasion, appare assai stretta.
La fiducia,
però, in Senato è un’arma a doppio taglio da maneggiare con cura.
Perché, se è vero che essa accorcia i tempi del dibattito, è anche vero
che obbligherà i partiti di centrodestra pro Rosatellum – Forza Italia e
Lega – a uscire dall’aula al momento delle votazioni, perché qui la
sola astensione vale come voto contrario. Ma se oltre a loro usciranno
dall’emiciclo anche tutti gli anti-Rosatellum, per il Pd potrebbe porsi
un serio problema numerico. In aula, infatti, resterebbero solo Pd, Ap,
Autonomie e qualche senatore sparso, raggiungendo a mala pena le 140-145
presenze, ben al di sotto della quota minima di 161. Creando anche un
serio problema di numero legale. Pure i 14 verdiniani potrebbero non
bastare, obbligando il Pd ad andare a caccia di senatori
dell’opposizione disposti a votare la fiducia al governo. Alla fine la
soluzione si troverà, ma il rischio che la legge venga impallinata è
serio e non si potrà sbagliare nulla.
Senza fiducia, invece, i
numeri del Rosatellum bis in Senato sono larghi: Pd, Lega, Forza Italia,
Ap e Ala assicurano 191 voti, che arrivano a 220 se si aggiungono
quelli di Idea di Quagliariello, Direzione Italia di Fitto e le
Autonomie. Il Rosatellum bis verrebbe quindi approvato in scioltezza, ma
col rischio di andare per le lunghe. E Renzi non può permettersi di non
portare a casa la legge prima del probabile tonfo in Sicilia.