Il Fatto 12.10.17
Legge elettorale, Boldrini doveva fermare la fiducia
di Silvia Truzzi
In
questo spazio abbiamo più volte ripetuto che la legge elettorale, tra
tutte le ordinarie, è quella che più si avvicina alla Costituzione. Non
l’abbiamo scritto per vezzo, ma per le ragioni che seguono, vergate nero
su bianco anche dal Regolamento della Camera dei deputati, diventato
sostanzialmente carta straccia in queste ore così com’era accaduto due
anni fa con l’incostituzionale Italicum. Ecco perché Laura Boldrini
avrebbe dovuto fermare questo scempio.
Intanto è la Costituzione,
prima di tutto e sopra tutto, che specifica, all’articolo 72, che la
procedura normale di esame e approvazione diretta da parte della Camera
“è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed
elettorale”. Prescrizione recepita agli articoli 92 e 96 del regolamento
della Camera, dove si vieta l’approvazione in Commissione perché l’aula
deve discutere articolo per articolo queste le leggi. Decidendo di
porre la fiducia, il precetto viene completamente vanificato. Il
trattamento speciale delle leggi elettorali (e costituzionali) si evince
anche dal fatto che i deputati, quando intervengono su questi temi
(articoli 39 e 85), hanno a disposizione più tempo per discutere. C’è
poi la questione più tecnica della fiducia. Il voto (articolo 49) è
palese, salvo che per alcune materie in cui è necessariamente segreto
(“sulle persone”), e per altre in cui è segreto a richiesta di almeno 30
deputati: tra queste c’è la legge elettorale. E qui arriva l’articolo
116, che al comma 4 ci racconta in quali casi è esclusa la spada di
Damocle della fiducia: tra questi ci sono gli “argomenti per i quali il
Regolamento prescrive votazioni per alzata di mano o per scrutinio
segreto”, (ovvio, visto che la fiducia si vota a scrutinio palesissimo).
Come hanno spiegato benissimo i giuristi ( per esempio Massimo Villone
sul manifesto) non si può affermare che il divieto di fiducia opera solo
nei casi in cui il voto è necessariamente segreto. La domanda dunque è:
perché è stato deciso di mettere la fiducia sulla legge elettorale,
nonostante tutto? Si dice – ovunque – per “evitare il Vietnam
parlamentare”. Ma quale Vietnam? Sul tavolo c’erano circa duecento
emendamenti, cioè un numero assolutamente gestibile. E non vale
l’argomento della vicinanza alla scadenza elettorale: 15 giorni in più o
in meno non avrebbero certo fatto la differenza. La decisione, forzando
il regolamento, è stata presa per aggirare una difficoltà politica
contingente (i malumori interni ai partiti che sostengono la legge).
A
questa forzatura avrebbe dovuto opporsi la presidente della Camera:
siede su quello scranno esattamente per garantire la dignità dell’Aula,
vigilando sulla correttezza, anche formale, dello svolgimento dei
lavori, non per far declinare i segretari parlamentari o le ministre al
femminile. Possiamo sperare che Pietro Grasso si faccia venire qualche
scrupolo maggiore, anche se tira una pessima aria: la scelta di mettere
la fiducia dimostra (oltre all’incoerenza di chi nell’esecutivo per mesi
ha ripetuto di non voler mettere becco nella legge elettorale perché
materia squisitamente parlamentare) una miopia assoluta, l’assenza di
una anche minima empatia verso i cittadini. Ma i partiti (Renzi in
primis) pagheranno nelle urne gli strappi, le forzature e gli sgambetti:
la distanza degli elettori aumenta in maniera proporzionale alla
scorrettezza con cui si aggirano le regole democratiche. Sarà un
clamoroso boomerang.