Il Fatto 11.10.17
Ecco il golpe del Rosatellum: Renzi sequestra la Camera
Oggi
si vota - Il segretario Pd costringe Gentiloni a porre la fiducia sulla
legge elettorale. Alta tensione in Cdm, Orlando contro. Il Quirinale
approva, Napolitano no. M5S: “Fascisti”
di Wanda Marra
“Anome
del governo pongo la questione di fiducia”. Mentre Anna Finocchiaro,
ministro dei Rapporti con il Parlamento, annuncia in aula la fiducia al
Rosatellun 2.0, Ignazio La Russa si avvicina, cercando di fermarla.
Intanto, dai banchi dei Cinque Stelle si alzano le urla “Fascisti”. E
“Venduta, venduta”, all’indirizzo della presidente della Camera Laura
Boldrini.
La legislatura si avvia al termine con una forzatura
istituzionale. Così come è andata avanti: tra “canguri” e di “tagliole”
era stata approvata la riforma costituzionale. Con la fiducia era stato
approvato l’Italicum. Alla Camera, si vota oggi e domani (con
possibilità di slittare a venerdì mattina): gli articoli 1, 2 e 3
saranno sottoposti a fiducia, il 4 e il 5 si esamineranno a scrutinio
palese. E poi c’è il voto finale, che sarà segreto, sul provvedimento. I
no annunciati sono di Cinque Stelle, Mdp e Fratelli d’Italia. Sul sì,
tutti gli altri. Forza Italia e Lega non saranno presenti in Aula
durante le fiducie, ma voteranno il provvedimento.
Resta
l’incognita del voto finale. Il pallottoliere del Pd finora ha contato
sempre un centinaio di franchi tiratori, quelli che volevano le
preferenze, quelli che sanno che mai verranno ricandidati, con un
sistema che permette ai leader di partito di mandare in Parlamento tutti
nominati. I conteggi che giravano ieri dicevano che la maggioranza può
contare su un margine di 25-30 voti di scarto. Aumenterà? Diminuirà?
Difficile dirlo ora. Dalle parti della maggioranza sono abbastanza
tranquilli e si preparano alla prossima mossa: portare la legge in
Senato la settimana prossima, chiudere a ritmi record. Magari con
fiducia pure a Palazzo Madama. Mentre si fa strada un’altra idea: votare
– con fiducia – anche lo ius soli, prima della sessione di bilancio,
che inizia il 27 ottobre.
Le ultime 48 ore sono state convulse, e
complicate soprattutto per Palazzo Chigi. In questi giorni, Paolo
Gentiloni è stato in contatto continuo sia con Renzi che con Mattarella.
Fino a lunedì sera, come raccontano deputati del Pd, ha resistito
all’opzione fiducia. D’altra parte aveva sempre detto che “il tema della
legge elettorale è principalmente del Parlamento, ci limiteremo ad
accompagnare e facilitare il percorso”. Il pressing del Pd è stato
continuo: il canguro, ovvero l’emendamento soppressivo, non bastava. I
voti segreti, secondo Ettore Rosato, capogruppo dem che ha avuto da
Renzi il compito di portare la legge fino alla fine, a tutti i costi,
erano circa 120. Così, ieri mattina il Nazareno è partito in pressing.
“È opportuno che Gentiloni ponga la fiducia”, ha detto lo stesso Rosato
in mattinata. I capigruppo di maggioranza erano d’accordo con lui, come
gli altri sostenitori della legge. Il pressing c’è stato da più parti:
si è attivata pure Maria Elena Boschi. A ora di pranzo, il Quirinale ha
fatto filtrare di considerare positivo l’impegno del Parlamento, pur non
esprimendosi né nel merito, né sulla fiducia.
Il Cdm è durato
mezz’ora. Andrea Orlando, Guardasigilli, si è alzato per dire che
secondo lui – prima di mettere la fiducia – bisognava almeno convocare
Mdp e cercare una mediazione su alcuni punti del testo. Gentiloni è
stato possibilista. Ma è toccato a Marco Minniti e Maurizio Martina
bloccarlo, sostenendo che quella che veniva richiesta al governo era una
decisione “tecnica”, non politica. E così il Cdm ha deciso. Con
Gentiloni che si è intestato una scelta non sua. Giorgio Napolitano –
che ha espresso qualche riserva sulla legge – non pensava si sarebbe
arrivati rapidamente a questa scelta. È finita la tregua: in questi mesi
il Pd renziano non ha mai davvero creato problemi al premier, ora sta
facendo sentire la sua pressione. L’accelerazione sulla legge elettorale
potrebbe portarsi dietro lo scioglimento delle Camere dopo la legge di
Bilancio e il voto a marzo. Questa è la strategia di Renzi, con Mdp
spinta verso un’opposizione più dura, lo scenario diventa concreto.