Corriere La Lettura 8.10.17
1968
Politica e voglia di sapere Il lavoro del compagno ciclostile
di Aldo Colonetti
«Uno,
nessuno e centomila» oggetti per rappresentare lo spirito del tempo del
Sessantotto, per citare Luigi Pirandello: come evocava Il grande numero
, titolo della 14° Triennale di Milano, maggio 1968, inaugurata e poi
subito occupata da studenti e artisti (manifesto di Albe Steiner).
Introduceva il concetto di «serialità infinita» che ha definito, in
tutte le sue manifestazioni, il ’68. E allora ecco che l’oggetto più
rappresentativo di quel periodo forse è il ciclostile: oggi pochi lo
ricordano, anche perché è come se fossero passati mille anni,
dall’inchiostro al fax fino ad arrivare alle immagini virtuali del
nostro tempo. Un oggetto anonimo, che derivava dai tradizionali processi
di stampa, semplificando però sia i meccanismi sia i costi di
produzione: una macchina leggera per riprodurre un numero limitato di
copie di testi e immagini al tratto, mediante una matrice di carta di
seta paraffinata, il cui testo veniva battuto con una normale macchina
da scrivere.
Ogni università, ogni scuola, ma soprattutto tutti i
diversi movimenti, associazioni, piccoli e grandi partiti, avevano in un
angolo questo «oggetto» meccanico. Il funzionamento, nei più semplici,
era manuale. Da lì partivano non solo volantini, convocazioni, sigle di
gruppi che spesso nascevano e scomparivano in poche settimane: col
ciclostile venivano anche distribuite le dispense dei corsi
universitari: ricordo una serie lezioni di Gillo Dorfles sui limiti
della semiotica, ma anche la prima traduzione dei Grundrisse di Marx per
il corso di Enzo Paci, ciclostilata da uno dei suoi assistenti, Giairo
Daghini, alla Facoltà di Filosofia di Milano.
Forse non eravamo
totalmente consapevoli di come questi fogli volanti, che non erano
ancora libro, destinati a durare il tempo breve di una manifestazione o
di un esame, rappresentassero in nuce un fenomeno oggi invece diffuso
dovunque, una sorta di prêt-à-porter della lettura. Parole e immagini si
possono riprodurre all’infinito con lo smartphone, ma che nostalgia
dell’odore d’inchiostro e soprattutto del desiderio di conoscenza che un
foglio, anche stampato alla bell’e meglio, sapeva stimolare. Forse
meriterebbe il Compasso d’Oro alla carriera, perché si tratta comunque
di design.