domenica 8 ottobre 2017

Corriere La Lettura 8.10.17
1968
Il proletariato della cucina disintegra il salotto di Pirandello
di Maurizio Porro

I drammaturghi inglesi sono stati i primi e gli ultimi — da Osborne che già ricordava con rabbia a Nigel Williams con i violenti scontri proletari di Nemico di classe — ad accorgersi che era scoppiato il ’68 anche sulle scene e anche l’essere o non essere assumeva altro significato. Mentre i dreamer contestavano a Parigi i grandi attori di potere classico, mettendo sul banco degli imputati anche Molière e Racine, una nuova realtà sociale oggi tra le prime della scena mondiale, il Théâtre du Soleil, sede nella Cartoucherie alla periferia di Parigi, con la regia della grande Ariane Mnouchkine, metteva in scena al Festival di Venezia, addì 7 ottobre 1968, La cucina di Arnold Wesker. Che riassume nella forma e nella sostanza i comandamenti di un’epoca che andava sganciando per sempre il teatro dai tre atti ambientati nei salotti di Pirandello, nelle reggie di Schiller, nei saloni molieriani o nelle dacie di Cechov.
Che la Mnouchkine amasse il collettivismo lo dimostrerà anche il seguente 1789 , data non scelta a caso, che debuttò a Milano col Piccolo Teatro.
La cucina che l’arrabbiato Wesker aveva scritto profetizzando il cambio di marcia sociologico, è la storia dettagliata ma non naturalistica di una qualunque giornata di lavoro nella cucina di un grande ristorante, dove non ci devono essere vere pietanze, ma piatti vuoti (ci fu un allestimento italiano a cura di Lina Wertmüller). Sono 40 personaggi che urlano, cucinano, litigano, si disperano, preparano arrosti, fritture, pesce bollito, carne alla griglia, buffet freddo, uova, verdure, pasticceria (l’autore era stato capo pasticcere di un ristorante del Boulevard des Capucines).
È la prima volta che il proletariato delle cucine fa il suo ingresso da protagonista (in un testo non brechtiano) presentando il conto dei suoi problemi e mirando simbolicamente al cuore dei padroni e dei clienti ai tavoli. «Per Shakespeare il mondo è un palcoscenico, per me è la cucina», diceva Wesker: ci sono tante piccole storie che affermano ognuna la propria priorità, denunciando lo sfruttamento del lavoro dove l’uomo si trova solo con se stesso e senza risposte se non il vecchio slogan vintage della lotta di classe.