domenica 1 ottobre 2017


Corriere La Lettura 1.10.17
La storia (ri)scritta sotto la sabbia
Si trova in Iraq
Una città sconosciuta forse fondata da Alessandro Magno nel corso della sua campagna contro Dario III di Persia
E la fortezza in Israele dove i ribelli ebrei furono assediati dalle legioni
di Livia Capponi

In questi giorni gli archeologi del British Museum hanno scoperto a Qalatga Darband, nel Nord dell’Iraq, una città sconosciuta forse fondata da Alessandro Magno nel corso della sua campagna contro Dario III di Persia. La scoperta è stata fatta quasi casualmente, esaminando vecchie immagini girate da satelliti della Cia negli anni Sessanta, ormai declassificate e rese pubbliche dal 1996. La missione fa parte del progetto noto come Iraq Emergency Heritage Management Programme, in cui gli archeologi britannici collaborano alla formazione di colleghi iracheni, che devono poi partecipare al recupero dei siti danneggiati dall’Isis.
L’insediamento, sulla strada fra Iraq e Iran, potrebbe risalire al 331 avanti Cristo, quando Alessandro inseguiva Dario, dopo averlo sconfitto nella battaglia di Gaugamela, presso Mosul in Iraq. Sono state già recuperate due statue, di Persefone e Adone, monete, strutture per la produzione di olio e vino, e oggetti del periodo ellenistico e sono stati individuati i resti di un fortino e di un tempio. Si trattava probabilmente di un centro commerciale in grado di fornire all’esercito macedone vettovaglie e insediamenti per i soldati. Se la notizia fosse confermata sarebbe una delle molte città (più di settanta secondo Plinio il Vecchio) che il grande conquistatore fondò o rinominò in Asia a scopo strategico e commerciale. Basti pensare a Kandahar, alias Alessandria Arachosia, o a Aï Khanoum, alias Alessandria sull’Oxus, in Afghanistan, dove sono stati rinvenuti frammenti di un trattato di filosofia aristotelica e di poesia greca, testimonianza della presenza di cittadini-lettori di gusto ellenistico.
Sono numerosi i casi in cui il clima arido ha permesso di conservare abbondanti masse di reperti archeologici. Soprattutto in Egitto le sabbie del deserto ci hanno regalato oggetti impressionanti per il perfetto stato di conservazione. Nei primi anni del Novecento il grande egittologo piemontese Ernesto Schiaparelli scopriva Deir el-Medina, il «villaggio operaio» che ospitava gli architetti e le maestranze impegnati a costruire le tombe della vicina Valle dei Re presso Tebe (Luxor), la capitale dell’Egitto faraonico. Il villaggio ha una planimetria regolare e allungata che ricorda quella di una nave. Una strada principale lo divideva in due grossi quartieri, «di dritta» e «di sinistra», e le maestranze erano suddivise in «squadre di tribordo» e «di babordo» come su una nave, ed erano composte da circa sessanta persone ciascuna, capeggiate da un architetto. Nella necropoli il 15 febbraio 1906 la Missione archeologica italiana trovò il pozzo d’accesso a una scalinata e a un corridoio sotterraneo che finiva con una porta in legno. All’apertura di questa porta si presentò uno spettacolo incredibile: una camera funeraria intatta con i corredi di due personaggi di alto rango, il «direttore dei lavori» Kha e sua moglie Merit, della fine del XV secolo a.C. Erano accatastati letti e mobili di ogni genere, ancora coperti da grandi lenzuola di lino, vasellame, lampade e poi sarcofagi, maschere funerarie, vesti, gioielli, cassette con cosmetici e parrucche, senza contare i pani e il cibo in grande quantità. Da allora il corredo rappresenta uno dei nuclei più importanti del Museo Egizio di Torino, dove le mummie di Kha e Merit sono state sbendate virtualmente grazie a radiografie ospedaliere, rivelando, oltre a informazioni di carattere fisico, i gioielli e amuleti che erano stati posti sotto le bende.
Una recente mostra al Museo Egizio ha ricordato l’esplorazione della Missione archeologica italiana (Mai) della Valle delle Regine, un’estesa necropoli con tombe scavate nella roccia alla convergenza di una serie di wadi, antichi letti di torrenti ormai prosciugati, che segnano le alture calcaree del deserto occidentale presso Luxor. Per tutto il Nuovo Regno (1550-1069 a.C.) la necropoli ospitò sepolture di principi, principesse o alti dignitari. Fra il 1903 e il 1906 furono esplorate una sessantina di tombe; furono rinvenute fra le altre la magnifica tomba di Nefertari, sposa di Ramesse II, e quella del principe Khaemuaset, un figlio di Ramesse III, riutilizzata come nascondiglio per accogliere altre mummie e corredi funerari. Francesco Ballerini, brillante egittologo comasco e braccio destro di Schiaparelli, annotava: «Piuttosto che una tomba, appariva come un sepolcreto; ma non nel rigido ordine funerario, ma per il vasto corridoio e per le camere dove dappertutto era una confusione orrenda di sarcofagi aperti, di mummie rovesciate, vasi, statuette giacenti disordinatamente, rimescolate, come se una strana bufera avesse sconvolta quella Casa dell’Eternità».
Le scoperte furono documentate da dettagliati resoconti, disegni, appunti e da fotografie scattate durante i lavori di scavo e oggi parte dell’Archivio del Museo Egizio. La Mai, infatti, adottò un approccio nuovo e un fine strettamente scientifico, staccandosi da quello dei cacciatori di tesori: «Il nostro scopo — scrive Ballerini — è di fare una esplorazione sistematica di tutta la Valle dove sono sepolte le regine e pubblicarne tutte le tombe conosciute e sconosciute che finora non furono mai da alcuno pubblicate».
Altro sito desertico di grande rilevanza storica è quello di Masada in Israele, circa cento chilometri a sud-est di Gerusalemme. Qui, su uno sperone di roccia in mezzo al deserto, alto 550 metri, inaccessibile e scosceso, il re Erode di Giudea costruì un lussuoso palazzo-fortezza impreziosito da mosaici e dotato di tutti i comfort, incluso un impianto di riscaldamento e terme. Durante la rivolta giudaica contro Roma del 66-70 d.C., la fortezza fu presa dai Sicarii, un gruppo di ribelli diremmo oggi «estremisti» guidati da Eleazar Ben Yair. Nel racconto dello storico Flavio Giuseppe, lui stesso un ebreo protagonista della guerra e passato dalla parte di Roma, qui vi fu un lungo assedio che si concluse nel 73 d.C. con l’ingresso dei legionari di Flavio Silva nella fortezza. I Romani, subito colpiti dal silenzio impressionante che regnava, trovarono i cadaveri di 960 uomini, donne e bambini suicidatisi pur di non essere catturati. Giuseppe mette il racconto in bocca a due donne che erano sopravvissute nascondendosi in una cisterna.
Oggi la storia del suicidio di massa è considerata una delle tante invenzioni narrative che caratterizzano l’opera di Giuseppe, e che riflettevano i problemi e le preoccupazioni del suo tempo. L’archeologia, del resto, non ha mai confermato il mito di Masada; un assedio ci fu e i ribelli furono uccisi, mentre i corpi ritrovati, una trentina, appartengono forse ai Romani e gli ostraca (frammenti di terracotta) recanti nomi di persona forse servivano a qualcos’altro, non a sorteggiare chi doveva uccidere o suicidarsi. Tuttavia lo scavo di Yigael Yadin nel 1963 fu un vero pellegrinaggio archeologico, a cui parteciparono giovani di tutto il mondo, e tuttora i militari israeliani giurano che «mai più cadrà Masada».
Uno studio recente dello storico olandese Miguel-John Versluys riporta l’attenzione sul sito di Nemrud Dag in Turchia, montagna del Tauro Orientale sulla cui sommità l’American School of Oriental Researches trovò nel 1953 i resti monumentali della tomba-santuario di re Antioco I di Commagene, un tumulo di 150 metri di diametro con altari e cinque statue colossali alte nove metri, decapitate, le teste poste in terra. Esse raffigurano Antioco I, la dea Tyche, gli dei Zeus-Oromasde, Apollo-Mitra-Helios-Ermes ed Eracle-Artagnes-Marte, a testimoniare il sincretismo religioso greco-armeno-persiano dell’epoca, oltre a giganteschi leoni e aquile, simboli di regalità. Il bassorilievo del «leone astrale» raffigura l’oroscopo del 6 luglio 61 o 62 a.C., forse il compleanno o l’incoronazione di Antioco I, mentre la sepoltura del re è ancora da scoprire.
Fra i più famosi monumenti del Nord Africa, infine, c’è il «Colosseo nel deserto» di El-Djem in Tunisia, cioè l’anfiteatro dell’antica città romana di Thysdrus, dove Giulio Cesare insediò i suoi veterani nel 45 a.C. e che poi Settimio Severo e Gordiano ampliarono e abbellirono, facendone il più grande centro di produzione di vino e olio d’oliva dell’Africa romana. In epoca ottomana la città fu smantellata per ricavarne materiale da costruzione, e la desertificazione del clima ha fatto la sua parte, riducendo la ricca città antica ad un piccolo villaggio. L’immenso anfiteatro era secondo solo al Colosseo di Roma, e poteva ospitare 35 mila spettatori. Oggi è meta prediletta di registi cinematografici ed è stato il set, fra gli altri, dei film Il gladiatore di Ridley Scott e Brian di Nazareth dei Monty Python.