domenica 1 ottobre 2017

Corriere La Lettura 1.10.17
Trionfa la famiglia Dio vince solo se si chiama Allah
di Manlio Graziano

Secondo il principio di sussidiarietà, se un ordine sociale inferiore è capace di svolgere il suo compito, l’ordine sociale superiore non deve interferire, ma tutt’al più sostenerlo. Questo viene in mente «spogliando» i risultati contenuti nei sondaggi sui valori più importanti in 60 Paesi e territori, Italia esclusa.
Premettiamo che i sondaggi non hanno nulla di scientifico. Se sono fatti bene, possono indicare delle tendenze, e servire quindi da linee-guida per gli operatori sul terreno, siano essi politici o economici. Ma, sia nel campo della politica che in quello del commercio, i sondaggi possono essere fuorvianti: ce ne siamo accorti in recenti tornate elettorali, e se ne sono accorti, a volte, certi creatori di nuovi prodotti apprezzati nei sondaggi, ma poi tristemente invenduti. Pensare, poi, di trarre delle conclusioni globalmente valide da un sondaggio svolto in 60 Paesi sarebbe azzardato: ricordiamo che gli Stati generalmente riconosciuti come «sovrani» sono 196, di cui 193 membri dell’Onu.
Tuttavia, questi risultati qualche cosa ci dicono. E forse, se possiamo far uso della logica induttiva («se dieci gatti hanno la coda, allora tutti i gatti avranno la coda»), ci permettono di avanzare qualche prudente osservazione generale.
Intanto, due dati saltano all’occhio: l’importanza accordata alla famiglia, e viceversa la pochissima importanza accordata alla politica. Anche qui, beninteso, occorrerebbe capire cosa intendano gli intervistati per famiglia e per politica: è chiaro che l’idea (e la pratica) che uno svedese, un indiano, un iracheno e un ecuadoregno hanno della famiglia non è la stessa. Ma c’è nondimeno un sentimento molto diffuso (in soli cinque Paesi su 60 la famiglia non rappresenta il valore più importante), che fa del rapporto con i consanguinei e i parenti acquisiti il valore-rifugio dei nostri tempi. Se fosse lecito trarne una lezione generale, si potrebbe dire che il dato segnala una tendenza alla bunkerizzazione, o, se si vuole usare un termine più rispondente alla realtà attuale, alla tribalizzazione: la crisi e la perdita di credibilità delle strutture pubbliche (il secondo aspetto che risalta dal sondaggio) spinge a regredire fino a trovare nella cosiddetta «cellula originaria della società» — la famiglia (o la tribù) — il bunker dentro cui sperare di preservarsi dalle minacce, vere o immaginarie, della nostra epoca.
Sarebbe, quindi, il trionfo del principio di sussidiarietà di cui si parlava all’inizio, uno dei cardini della dottrina sociale della Chiesa cattolica. La Chiesa sostiene la famiglia non solo avversando divorzio e unioni omosessuali, ma soprattutto facendone la seconda tappa dell’ordine sociale, giusto dopo l’individuo. Nella Rerum novarum Leone XIII scriveva: «Non è giusto che il cittadino e la famiglia siano assorbiti dallo Stato: è giusto, invece, che si lasci all’uno e all’altra tanta indipendenza di operare quanta se ne può, salvo il bene comune e gli altrui diritti». La Chiesa ha instancabilmente combattuto lo Stato, e oggi avrebbe di che rallegrarsi per la piega che stanno prendendo i sentimenti generali: la famiglia batte la politica 55 a 13. Ma la vittoria è molto più ampia di quanto non dica il risultato, per usare un’espressione dei commentatori calcistici, perché 55 sono i Paesi in cui la famiglia è al primo posto, e 13 sono quelli in cui la politica non è all’ultimo posto: ma, in 11 dei 13 casi in cui non è all’ultimo posto, è al penultimo. Famiglia e politica giocano chiaramente in due campionati valoriali diversi.
La famiglia, però, trionfa indipendentemente da ogni connessione con la religione. È «molto importante» (quasi dappertutto con percentuali prossime al 100% degli intervistati) anche in Paesi dove la religione è l’ultima delle preoccupazioni («per nulla importante»), ai quattro punti cardinali: in Svezia come in Cina, in Australia come in Corea, in Giappone come in Estonia. Quindi, la sua funzione di collante sociale, o auspicato tale, è universale — sempre applicando il ragionamento induttivo. In soli cinque casi non appare come il primo valore: in tre Paesi musulmani (Egitto, Algeria e Qatar) e, sorprendentemente, nei Paesi Bassi, dove le si preferisce l’amicizia, e in Ghana, dove passa in secondo piano dietro al lavoro. Occorre notare che l’Africa nera è decisamente sottorappresentata nell’indagine, con soli cinque Paesi su 48, cioè poco più di un decimo del totale; e di quei cinque Paesi, il lavoro, inteso come valore, è in buona posizione anche nello Zimbabwe (secondo) e Ruanda (terzo), mentre è meno apprezzato in Nigeria e in Sudafrica.
Sull’importanza della religione, il sondaggio presenta una conferma, ma anche qualche dato sorprendente. La conferma riguarda il rapporto religione/reddito. Anche se il criterio qui seguito è quello del reddito pro capite nei Paesi a destra nel grafico (cioè quelli col reddito più elevato), la posizione media occupata dalla religione è 3,8; mentre in quelli a sinistra (col reddito più basso) è 2,8. Più un Paese è povero, più è religioso, anche se naturalmente vi sono eccezioni (non è un’eccezione il Qatar, ma il suo reddito pro capite è statisticamente irrilevante, dato l’esiguo numero di abitanti). Vi sono solo tre Paesi nei quali la religione rappresenta il valore più importante: Qatar, appunto, Algeria ed Egitto; dei 15 Paesi in cui la religione è il secondo valore più importante, 11 sono musulmani, uno è misto (Nigeria), e gli altri tre sono l’India, il Sudafrica e Trinidad e Tobago. In Turchia, la religione è al terzo posto, e l’assenza di due grandi Paesi musulmani come l’Iran (il meno religioso del Medio Oriente, secondo tutti i rilevamenti conosciuti) e l’Indonesia non permette di trarre altre conclusioni se non quelle, note, della particolare importanza della religione nella vita dei fedeli musulmani. Una caratteristica che l’islam condivide con l’induismo e con il buddhismo: ma i Paesi a maggioranza buddhista sono sottorappresentati in quest’inchiesta (solo la Thailandia è presente), e quindi il confronto viene a mancare. Altri Paesi noti come particolarmente religiosi (Romania, Polonia, Cipro, Filippine, Messico, Brasile, Ruanda tra gli altri) offrono qui un’immagine inusuale di sé, da questo punto di vista; ma la percentuale di coloro che la considerano «importante» è comunque molto alta.
Ultima osservazione. Il tempo libero sembrerebbe avere un ruolo speculare a quello della religione, in rapporto al reddito: più il Paese è ricco e più il tempo libero è un «valore», ed è «importante». Il ricco bighellona, e il povero prega. È una caricatura, ovviamente, ma è anche un angolo visuale interessante per considerare il mondo di oggi. Tra le sue contraddizioni, forse, questa non è la meno importante.