Corriere 8.10.17
Il caso Battisti e gli intellettuali francesi
Le coccole all’assassino-scrittore gioco intellettuale che travisa la realtà
di Pierluigi Battista
In Francia si sono spesi per lui autori celebri, accecati dai pregiudizi sull’Italia anni 70
Vuoi
trasformarti da terrorista condannato a due ergastoli in raffinata e
compatita vittima del sistema, coccolato nei circoli parigini più cool,
trasformato in icona della bontà da Lula in Brasile? Allora ti devi
chiamare Cesare Battisti, che un po’ evoca anche se non c’entra niente.
Ma soprattutto devi diventare autore di romanzi noir, passare per
rifugiato politico, mobilitare uno stuolo di intellettuali firmaioli
compulsivi per redigere manifesti da sottoscrivere e che sono disposti a
qualsiasi contorsione mentale pur di sostenere una causa infame
nobilitata dal semplice fatto che l’imputato è «uno di noi». Allora un
intellettuale sofisticato come Philippe Sollers può smettere i suoi
abiti solitamente sobri e sostenere argomentazioni prive di logica
comune: «In Italia c’è stato anche un terrorismo di Stato molto
importante in quegli anni, è stata una vera guerra civile e sociale». E
così, con questo salto da circo un assassino che ha ammazzato delle
persone nel nome di una grottesca rivoluzione diventa Sacco o Vanzetti,
vittime vere, non per finta. E in Francia può addirittura ricevere la
visita in cella di un segretario socialista di nome François Hollande,
futuro inquilino dell’Eliseo.
Gli intellettuali francesi,
scrittori, cineasti, semiologi, pubblicisti, e il più famoso tra loro
era Bernard Henri-Lévy, hanno adottato Cesare Battisti facendosi scudo
della «dottrina Mitterrand», che eleggeva la Francia come terra d’asilo e
di protezione per tutti i perseguitati del mondo capaci di raggiungere
la sorgente dei Lumi. La dottrina prevedeva tuttavia che fossero esclusi
gli espatriati che si fossero macchiati di delitti di sangue. Ma due
condanne italiane all’ergastolo non erano bastate. E poi non si aveva
fiducia nella giustizia italiana, considerata più o meno alla stregua di
quella in vigore nel Cile di Pinochet. Non è una ricostruzione
esagerata: era proprio così. Già nel 1977, nel mezzo dei tumulti che
stavano insanguinando l’Italia e quando l’offensiva del terrorismo rosso
di cui Cesare Battisti era uno dei figli seminava morte e paura, un
nutrito grappolo di intellettuali francesi, a cominciare dai celeberrimi
Deleuze e Guattari, aveva sottoscritto un allarmatissimo appello per
denunciare la gestione fascistoide dell’ordine pubblico in Italia,
equiparata a una truce tirannia. Da questo humus si forma in Francia la
percezione stravolta di un’Italia che ha cancellato ogni nozione dei
diritto e della giustizia e in cui perciò non solo era quasi lecito
mettersi a sparare sugli inermi per fare la rivoluzione ma era possibile
perseguitare e discriminare chi si ribellava alla dittatura di tipo
cileno. Ecco perciò che Cesare Battisti, deposte le armi per uccidere
materialmente le persone, è stato accolto come un esule immerso nella
scrittura di formidabili libri e perciò meritevole di appoggio militante
dei suoi simili, del tutto indifferenti alla sorte delle persone che
per colpa di Battisti, come stabilito da due sentenze in contumacia,
hanno cessato di vivere prima ancora di apprezzare i romanzi usciti
dalla penna del loro carnefice. E dalla Francia gli appelli all’impunità
di Battisti hanno anche ricevuto una certa eco presso alcuni ambienti
altrettanto militanti dell’acuta intellettualità italiana, già a suo
tempo sbertucciati da Antonio Tabucchi scandalizzato da tanta
superficialità. Da qui le firme pro Battisti, tra gli altri di scrittori
come Wu Ming e Tiziano Scarpa, di Nanni Balestrini e Massimo Carlotto,
del resto confortate dalla firma in calce agli appelli francesi di
scrittori tanto autorevoli come Daniel Pennac. Si poteva considerare uno
scrittore come un assassino normale che aveva stroncato alcune vite
umane pensando di sacrificarle nel nome della futura umanità liberata?
E
così il mito del Battisti perseguitato ha scavalcato l’oceano ed è
approdato nel Brasile di Lula fin quando Lula, diffidente verso le
procedure della giustizia italiana, non è stato raggiunto come crudele
contrappasso dai tentacoli della giustizia brasiliana. Da qui quel senso
di impunità che ancora oggi ostacola l’estradizione di Cesare Battisti,
assassino e poi scrittore, come se la scrittura potesse riscattare il
noir, stavolta tragicamente vero, di cui è stato triste protagonista.