Corriere 7.10.17
Pisapia è fermo al bivio: dai bersaniani un’imboscata
di Monica Guerzoni
Le tensioni (e le telefonate) dopo lo scontro di Ravenna
ROMA
C’è una frase di Pisapia che continua a ronzare nelle orecchie dei
compagni di viaggio: «Vado avanti ancora un po’, poi decido».
Un’incertezza che giovedì si è fatta ancora più forte, visto com’è
andato a finire l’evento di Ravenna per il ritorno di Errani: «Questa
serata ha dimostrato che il leader sei tu, Vasco». Una battuta venata
dalla diffidenza e destinata a lasciare uno strascico di incomprensioni
tra Mdp e Campo progressista.
A innervosire l’ospite cambiando di
segno la serata è stato il pressing sulla data dell’assemblea
costituente, scadenza che Pisapia continua a procrastrinare. «Vuole
tenersi le mani libere» è il sospetto dei bersaniani, mentre i
collaboratori dell’avvocato denunciano che «Giuliano è finito in
un’imboscata», ordita per consentire a Bersani di scandire il suo
ultimatum. «Un mese e mezzo di tempo, non di più». E se Pisapia è
rimasto male, Bersani ed Errani «sono rimasti malissimo».
La
voglia di rammendare la tela c’è, prova ne siano le telefonate, ieri,
tra Bersani, Errani e Pisapia. Ma lo strappo è grande, l’incubo di
Pisapia è «fare la fine di Romano Prodi», triturato dalla sua stessa
maggioranza. «Se deve andare così, tanto vale sfilarsi prima che sia
tardi», è la tentazione che si va rafforzando. Chi l’altra sera ha
partecipato alla cena ravennate con l’ex sindaco di Milano — cucinata da
Pierangelo, cuoco delle feste dell’Unità passato armi e fornelli con
Mdp — ha assaporato tagliatelle al ragù di mare e interrogativi
amletici. «Giuliano non si fida — hanno commentato Bersani ed Errani con
i parlamentari di Mdp — Continua a dire che i punti di convergenza sono
tanti, ma condisce i ragionamenti con un sacco di “però”. Bisogna
allargare il campo, bisogna essere convinti tutti... Il problema è che
lui non avverte l’urgenza della nostra gente, non capisce che adesso è
ora di andare».
Pisapia lo capisce, eccome. Se tentenna, è perché
aspetta (e spera) che Sicilia e legge elettorale cambino il quadro. Il
suo auspicio è che Renzi ne esca malconcio e che nel Pd prenda il
sopravvento il partito della coalizione benedetto da Prodi, Veltroni,
Letta, Franceschini, Orlando. A questo si riferiva Pisapia quando,
sfidando i mugugni, ha detto che in politica preferisce la poligamia. Ma
il popolo bersaniano non vuole saperne del Pd e Cecilia Guerra chiude
al dialogo: «Col Rosatellum si fanno solo alleanze di comodo».
Poi
c’è il fattore D, come D’Alema. La richiesta al leader Massimo di fare
«un passo di fianco» ha esasperato i rapporti con Mdp, dove ieri in
tanti accusavano Pisapia di ingenuità: «Si illude se pensa che gli basti
dire no a D’Alema sui giornali per levarselo di torno». Per l’altra
metà del progetto unitario «non funziona così» ed Errani lo ha gridato
con trasporto: «Giuliano è il nostro leader, ma non è il capo, non
comanda da solo». Il nodo? Le candidature. Pisapia soffre la scelta di
Mdp di strutturarsi in un «partitino del 3%» con circoli, feste e
tessere e teme che, sulle liste, siano gli ex ds a farla da padroni.