venerdì 6 ottobre 2017

Corriere 6.10.17
Il voto a marzo resta appeso all’accordo sulla riforma
di Massimo Franco

Tutto sembra spingere per un’approvazione rapida della riforma elettorale: al punto che si ipotizza lo scioglimento delle Camere entro fine anno, e si continua a indicare la data delle elezioni per il 4 o l’11 marzo. Nella maggioranza, queste scadenze sono già state discusse. Ma rimangono appese a quell’intesa. L’accelerazione si deve alla sensazione, non si sa quanto fondata, che il Movimento 5 Stelle sia in una fase calante; e che il centrodestra fatichi a ricompattarsi in tempi brevi. Il vertice del Pd sembra dunque convinto di avere la maggioranza relativa dei voti, se si fa presto.
Significherebbe poter chiedere al capo dello Stato, Sergio Mattarella, l’incarico di formare un governo dopo le Politiche. Gli emendamenti esaminati ieri, sulla soglia del 3% per entrare in Parlamento e sulla possibilità di eleggere senatori in tre regioni ripartendo i voti in modo diverso, è fatta per placare i centristi di Angelino Alfano; ma anche per attenuare l’ostilità del Mdp, finora fermamente ostile alla riforma che si va delineando con l’intesa Pd-FI-Lega-Ap. Se funziona, il Quirinale potrebbe finalmente chiudere la legislatura. A sentire il capogruppo dem Ettore Rosato, si tratta non di una norma «salva Ap», e cioè salva-Alfano. «In verità sarebbe salva-Mdp», ha detto, provocando l’irritazione del gruppo di Pier Luigi Bersani e di Massimo D’Alema, convinto di avere più del 3 per cento. E infatti, il «no» rimane arcigno. Ma non cambierebbe i rapporti di forza se l’asse tra Matteo Renzi, Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Angelino Alfano non si spezza. «L’accordo tiene», ha assicurato il capogruppo di FI, Renato Brunetta, dopo una giornata di trattative e di tensioni. I berlusconiani non vogliono concedere troppo all’ex alleato Alfano. E temono che il sistema in incubazione alla fine premi la Lega ma non loro: in particolare al Nord. La questione delle ricandidature è cruciale. Ci sono decine di parlamentari che sanno o hanno paura di non essere ricandidati o comunque rieletti. Ed è su questo che i leader di partito stanno cercando di rassicurarli uno a uno: vogliono essere sicuri di un «via libera» che blindi un eventuale accordo; e impedisca imboscate alle Camere sulla riforma del voto. Qualche incertezza rimane. Si assiste così a una situazione singolare. Ufficialmente, tutto sta filando liscio, e le probabilità di un «sì» sembrano crescere di ora in ora: se non altro perché non si capisce che cosa potrebbe bloccare un tentativo destinato a essere l’ultimo. Poi, però, uno dei potenziali beneficiari del nuovo sistema elettorale, Matteo Salvini, proietta sull’operazione un’ombra di incertezza. «Temo che le beghe del Pd facciano saltare tutto», avverte il leader leghista. E allora, riservarsi un ampio margine di cautela diventa doveroso.